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Albania, i migranti da espellere saranno trasferiti nei Cpr: l’Italia esporta il suo modello in Europa

Albania, i migranti da espellere saranno trasferiti nei Cpr: l’Italia esporta il suo modello in Europa

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera a un decreto che segna una svolta nella gestione dell’immigrazione irregolare: i Centri per il rimpatrio (Cpr) situati in Albania, finora destinati ai richiedenti asilo intercettati in mare, accoglieranno anche i migranti irregolari già presenti in Italia e destinatari di un decreto di espulsione.

 

La misura, presentata come una “disposizione urgente per il contrasto dell’immigrazione irregolare”, rafforza la capacità del Cpr di Gjader — che sarà ampliato e potenziato — e istituisce un passaggio inedito: il trasferimento all’estero degli espulsi, previo via libera del giudice. Non sarà quindi più sufficiente il parere del Questore, ma servirà una convalida giurisdizionale. Una tutela formale che non basterà, con ogni probabilità, a evitare una valanga di ricorsi da parte delle Ong e dei legali dei migranti.

 

La strategia è chiara: disincentivare le partenze e snellire le procedure di rimpatrio, riducendo al minimo i tempi di permanenza in Italia. I migranti provenienti da Paesi ritenuti “sicuri” — tra cui Albania, Tunisia, Egitto, Ghana e altri — vedranno la propria domanda d’asilo esaminata in tempi stretti. Se respinta, scatterà la procedura per il trasferimento in Albania e il rientro forzato nel paese d’origine.

Ma la portata di questo provvedimento non si esaurisce sul piano nazionale. Il modello albanese italiano, firmato a novembre 2023 da Giorgia Meloni ed Edi Rama, sta facendo scuola anche a Bruxelles. La Commissione Europea ha preso ispirazione dall’accordo per disegnare una nuova architettura migratoria continentale, che prevede “return hubs” in Paesi terzi, cioè centri esterni all’Unione dove gestire richieste, rimpatri e accoglienze temporanee.

Nel 2026 entrerà in vigore il Piano europeo migrazione e asilo: un pacchetto di riforme che uniformerà le procedure in tutta l’Unione. L’obiettivo dichiarato è “più efficienza, meno caos e più controllo”. Quello reale, forse, è altro: spostare fisicamente e simbolicamente i confini dell’Europa. Delegare ai Paesi terzi — in cambio di accordi economici e diplomatici — la parte più delicata e scomoda della gestione migratoria.

Nel frattempo, in Italia, il governo conta sull’eventuale avallo della Corte di giustizia europea, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del concetto di “Paese sicuro” e sulla compatibilità del decreto con il diritto comunitario. Una sentenza favorevole potrebbe blindare giuridicamente l’intero impianto.

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