Cultura Woke e Chiesa Anglicana Futuro e Chiesa Cattolica
di Vincenzo Olita*
Per Natale, la Chiesa d’Inghilterra ha inviato un documento alle sue diocesi in cui chiedeva di modificare i testi di alcune sacre cantate per non offendere e non escludere fedeli di altre religioni. Siamo ad un ulteriore passo verso l’abbandono della tradizione cristiana in nome del politicamente corretto e dell’osanna per la cultura politica woke.
Potremmo continuare con altre simili preziosità, sarebbe superfluo; il cammino è segnato, la confessione anglicana, nata nel 1534, dopo cinquecento anni, si avvia verso l’estinzione. Negli ultimi anni ancor più di 400 chiese hanno chiuso, in molte città esistono più moschee che chiese e i fedeli sono in netta diminuzione.
Certo, cupe prospettive si addensano sul futuro considerando che a Canterbury una commissione lavora alla modifica della preghiera del Padre Nostro per rendere sessualmente neutrale la stessa invocazione iniziale (Our Father)
Gran problema per la stessa Inghilterra, per il suo primate, arcivescovo di Canterbury, e ancor più per il Re Carlo III, capo della Chiesa anglicana, che corre il rischio di ritrovarsi sovrano di un Paese la cui confessione si è, semplicemente e autonomamente, liquefatta.
La stessa Chiesa, in Canada, persegue l’identico cammino; molti praticanti si sono reinventati attivisti sociali, più possibile si collabora con strutture di beneficenza o enti come Amnesty International. Insomma, siamo di fronte a una confessione che ormai si caratterizza come struttura di supporto all’impalcatura statale e quindi alla politica corrente.
Mathieu Bock-Cotè, filosofo del Québec ricorda che il presidente Trudeau è andato sostenendo che il Canada è l’esempio del politicamente corretto e del multiculturalismo, ma in queste ore, con le sue inevitabili dimissioni, il racconto è più che vacillante. Negli ultimi anni, molte chiese sono state bruciate, l’eutanasia si pratica su vasta scala, i fedeli si riducono annualmente e si stima che entro il 2040 la Chiesa anglicana sarà estinta, seguita poi da quella cattolica.
I profondi mutamenti teologici e liturgici orientati verso una radicale secolarizzazione della stessa sacralità, intercorsi nella galassia protestante avviati nel nord e nella mitteleuropa supportati dall’antico spirito della Riforma, a partire dal Concilio Vaticano II, hanno finito per contagiare l’essenza controriformista dell’universo cattolico.
Da tempo sottolineiamo la profonda crisi della Chiesa di Roma che, all’infuori del clero sul continente africano, vive un inesorabile tramonto dal tempo in cui, e parliamo dell’avanzata metà del XX secolo, ha iniziato a snaturare sacralità e fede in favore di una religio civilis. Già, una religione civile quella professata da un papato sui generis oscillante tra un neo protestantesimo sul piano teologico, dottrinale e liturgico e l’esaltazione dell’accezione di qualsiasi pauperismo di ritorno che oscura il Sillabo e la condanna del liberalismo di Pio IX.
Un’ostentata retorica, farcita da luoghi comuni, dal politicamente corretto, da politicanti visioni, ha incamminato la Chiesa di Roma verso un’infausta omogeneità con una retriva statualità e ancor più con una politica di per sé stessa apolitica.
La storia del cattolicesimo imperniata anche sull’allontanamento tra sacerdotium e imperium, altrimenti tra sacralità e potere, finisce per dedicarsi e farsi assorbire dalla quotidianità ammantandola di inefficace sterile buonismo.
Una Chiesa secolarizzata, come irradiante centro culturale, come preminente attività di assistenza sociale e di servizio, assolutamente encomiabile ma nell’assoluta lontananza con il suo mistero, il suo patrimonio e la sua missione.
Quanta confusa, apposita, stravaganza nel proclamare, in occasione di un turismo religioso come è declassato il Giubileo, che “dopo Dio vengono i carcerati”: Un non senso senza un retroterra di costrutto, appaiabile alla “Chiesa è donna”.
Ma allora, quella ragionata penetrante lezione del Discorso della Montagna, per chi crede, passa in second’ordine?
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli
Beati gli afflitti, perché saranno consolati
Beati i miti, perché erediteranno la terra
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Cristo non si è rivolto all’umanità elencandola in ordine gerarchico, Cristo non ha usato un linguaggio tale da dover essere sottoposto a cancel culture, tanto cara alla cultura woke.
Il maschile di Cristo non significa ostracismo per nessuno, con Beati, solo univocità per l’umano.
Privilegiare, evidenziandole, categorie, condizioni di vita, appartenenze ed altro, prospetta, per una confessione, lontananza verso il messaggio cristiano.
Ci rendiamo conto della difficile e dolorosa vita dei carcerati, che rimarchiamo proprio usando questo termine, e quando ci occupiamo del sociale, abbiamo costantemente evidenziato tre condizioni: l’isolamento dei nostri vecchi, i malati neurodegenerativi, i carcerati, appunto, quali tra gli ultimi della vita sociale.
Allora, assegnare un posto fuori posto questo sì che assume significato discriminante e non inclusivo, tanto per utilizzare parola modernista. L’intreccio tra l’azione della Chiesa cattolica e un modernismo laico sbiadisce, giorno dopo giorno, il patrimonio dottrinale del cattolicesimo avviato sempre più sullo stesso cammino fallimentare di larghi strati del protestantesimo. Appannato e spesso scomparso il sacro e una visione trascendentale della religiosità, ne resta e si radica una militanza culturale, in alcuni casi di servizio che, forse, appaga individuali spiritualità ma nulla conserva e nulla predispone per un futuro, lontano e distante che sia di rinnovamento e nello stesso tempo di risveglio del Tradizionalismo.
Viviamo in un Occidente in cui i sacramenti hanno sempre meno senso e comprensione, in cui l’afflato religioso si amalgama con una convenzione sociale che induce, spesso, a sbiadite partecipazioni liturgiche. Se l’anglicanesimo non ha futuro, è pur vero che il cattolicesimo continuerà il suo processo di essiccamento e saranno sempre meno numerosi coloro che seguiranno un Pontefice che circoli politici bolognesi auspicano possa essere il compagno don Matteo Maria Zuppi, presidente della CEI e accorto alfiere della modernizzazione di un decadente cattolicesimo.
*direttore Società Libera