2025: prospettive di speranza?
Markus Krienke
In un mondo segnato sempre di più dalla «terza guerra mondiale a pezzi», come Papa Francesco aveva prognosticato già un decennio fa (nel 2014), quale potrebbe essere una prospettiva di speranza cioè di pace? È questa la riflessione per la Giornata mondiale della Pace, celebrata dalla Chiesa ogni primo dell’anno e che quest’anno introduce al contempo al tema del “Giubileo 2025” che è la speranza.
La speranza non è un racconto utopistico e tantomeno una parola vuota di senso – come quando diciamo che è “l’ultima a morire” – ma l’avvio di processi reali che rendono il mondo più umano: ecco perché Papa Francesco fa tre proposte concrete su come essa possa segnare un anno di sforzi politici internazionali diverso da quei paradigmi di cui ci siamo troppo abituati, ma che in un mondo di completo riorientamento non valgono più.
La prima consiste nel condono (o perlomeno consistente riduzione) dei debiti che pesano sui Paesi più poveri impedendo loro di realizzare un processo sostenibile di sviluppo. Mentre tale appello fu espresso già in occasione dell’ultimo Giubileo – quello grande del 2000 – da Giovanni Paolo II, Papa Francesco aggiunge un ulteriore argomento di leva: tale condono emergerebbe con inevitabilità qualora le Nazioni «benestanti» riconoscessero il loro effettivo «debito ecologico» che hanno nei confronti dei Paesi del “Sud globale”. Inoltre, tale atto sarebbe da accompagnare alla realizzazione di una «nuova architettura finanziaria», per evitare il ripetersi di meccanismi internazionali per i quali gli stessi Paesi si troverebbero dopo poco tempo nella stessa situazione.
Le altre due idee “di speranza” sono l’eliminazione della pena di morte su tutta la terra e la creazione di un Fondo internazionale contro la fame e per le attività educative nei Paesi poveri, finanziato da una parte delle spese per gli armamenti.
Sono idee costruttive per un mondo nuovo che probabilmente non saranno realizzate; tuttavia non sono utopie, ma possibilità concrete che emergono da un “sogno ad occhi aperti”, ossia di qualcuno che vede la realtà in una luce diversa, che è, appunto, la luce, o meglio l’arcobaleno della speranza. Come dice Kierkegaard, la speranza non si indirizza a qualsiasi cosa, ma al bene, e in questo modo contribuisce alla possibilità di orientarci in un mondo che perde sempre di più i suoi punti di riferimento. Nella nostra presente situazione storica, la speranza evita di aggrapparsi al passato, che è senz’altro una reazione comprensibile, ma sbagliata: al contrario, essa motiva all’aprirsi a un nuovo orizzonte di umanità, e assicura a chi la possiede di non essere da solo nel suo impegno di realizzarla. In questo senso, essa crea un “noi” che non aspetta che “gli altri facciano” e non esclude nessuno che vuole condividerla.
Il messaggio del Papa è un appello a chiunque ha ancora speranza, di non sentirsi sbagliato in un mondo che mette ogni speranza nell’angolo. Infatti, è con la paura che il potere si impone e si organizza, o come dice Byung-Chul Han: «la paura può trasformare l’intera società in una prigione». Dopo quella della crisi finanziaria e del Covid, del clima e delle guerre, forse si sta dilagando ormai anche la «paura del pensare». Quest’ultima si esprime soprattutto nella tendenza prevalente che ciascuno si riferisce ai dati e fatti propri. In generale, sembra che nel mondo attuale ci sia più interesse a creare paura anziché speranza – e a ben vedere, l’attuale «culto della positività» che viene propagato tramite le nuove tecnologie dei social vi contribuisce nella misura in cui ci facciamo distogliere dalle vere sfide del nostro tempo. Sfide che sono da affrontare con la speranza, non con la paura.
Per quanto sia comprensibile che si tenti di sfuggire da una realtà sempre più disorientata, ciò non è la reazione giusta, e dentro di noi lo sappiamo. E nella misura in cui lo sappiamo, si esprime la voce della speranza, che, però, non ci dispensa – come fanno i protagonisti del “nuovo mondo delle illusioni” o della “congiura del non voler sapere” – dal confrontarci con la realtà e a incamminarci. Spes, cioè “speranza” in latino, viene da pes, “piede”. Affrontare le sfide, con i propri piedi nella realtà e non solo con le dita sugli schermi, è ciò a cui ci vuole incoraggiare questo messaggio del Papa per l’“anno della speranza”.
Ecco che la speranza non è un “aggiornarci” per un futuro lontano (per Seneca, infatti, è colpa della speranza che «non ci concentriamo sul presente, ma lasciamo che i nostri pensieri vaghino frettolosamente verso il lontano»), ma un lavorare sulla realtà. E questa realtà inizia da noi, quando con «un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito», come recita il documento per il primo dell’anno, iniziamo a cambiare la realtà che ci troviamo intorno.
Perché Pandora – la prima donna mortale e sposa di Epimeteo – quando aprì il vaso dal quale uscirono tutti i mali del mondo, la chiuse velocemente in modo tale da non far uscire la speranza? Sapendo che nelle mani degli uomini anche la speranza sarebbe stata uccisa, Pandora l’ha preservata a ogni costo, perché solo essa, alla fine, contiene la motivazione di lavorare per un mondo migliore nonostante tutto.
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