Interviste & Opinioni

Il conflitto israelo palestinese. La guerra eterna

Il conflitto israelo-palestinese è una delle questioni più complesse e longeve del panorama geopolitico moderno, radicata in tensioni storiche, territoriali, etniche e religiose. Affrontare questa tematica richiede una comprensione equilibrata delle posizioni di entrambe le parti. In questo contesto, è importante riconoscere che Israele ha alcune buone ragioni per le sue azioni e per il suo approccio alla questione, anche se non mancano critiche alla sua condotta.
La creazione dello Stato di Israele nel 1948 trova le sue radici in un lungo processo storico. Già nel XIX secolo, il movimento sionista aspirava a un ritorno ebraico in Palestina, vista come la loro patria storica. La Shoah, o Olocausto, durante la Seconda Guerra Mondiale, ha poi rafforzato l’idea di un rifugio sicuro per il popolo ebraico, che ha subito persecuzioni per secoli in Europa. La risoluzione dell’ONU del 1947, che prevedeva la divisione della Palestina mandataria in due stati, uno ebraico e uno arabo, ha sancito un diritto legale internazionale alla creazione di Israele.
Dal punto di vista israeliano, quindi, la fondazione dello Stato è stata una necessità storica per garantire la sopravvivenza e la sicurezza del popolo ebraico. Nonostante le difficoltà del conflitto con le popolazioni arabe locali, Israele considera la sua esistenza come legittima, sostenuta dal diritto internazionale e dalle circostanze storiche.
Una delle ragioni principali per cui Israele adotta una politica di sicurezza rigorosa è la minaccia costante del terrorismo. Nel corso degli anni, Israele ha subito numerosi attacchi da gruppi armati palestinesi, tra cui Hamas, che controlla la Striscia di Gaza. Hamas, considerato un’organizzazione terroristica da molti paesi, tra cui Stati Uniti e Unione Europea, non riconosce il diritto di esistere a Israele e ha spesso lanciato razzi verso città israeliane.
Il massacro di Hamas del 7 ottobre 2023 rappresenta uno spartiacque che segna e segnerà un aspro livello dello scontro che in progressione rischia di diventare una guerra globale. Israele sta combattendo su più fronti. 
E con buone ragioni. Ma continuiamo l’utile disamina storica. 
Israele, perciò, giustifica molte delle sue azioni militari e misure di sicurezza, come il blocco di Gaza, la costruzione di muri e barriere di sicurezza, e gli attacchi preventivi, come una difesa necessaria contro una minaccia esistenziale. Da questo punto di vista, la sua preoccupazione primaria è proteggere la propria popolazione dagli attacchi violenti, un diritto riconosciuto da ogni stato sovrano.
Nel 2005, Israele ha completato il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza, smantellando tutti gli insediamenti ebraici e ritirando l’esercito. Questo gesto, visto come un tentativo di promuovere la pace e ridurre le tensioni, non ha portato però ai risultati sperati. Poco dopo il ritiro, Hamas ha preso il controllo di Gaza e ha intensificato il lancio di razzi verso il territorio israeliano. Da allora, Israele sostiene che ogni concessione territoriale rischia di essere interpretata come una debolezza dai suoi nemici e che la sua sicurezza dipende da una vigilanza costante e un controllo rigido delle frontiere.
Dal punto di vista israeliano, il fallimento del ritiro da Gaza dimostra che cedere territori senza un accordo di sicurezza stabile può mettere in pericolo la sua popolazione, rendendo legittimo l’uso della forza per prevenire attacchi futuri.
Israele ha anche partecipato a numerosi processi di pace e negoziati con i palestinesi. Gli Accordi di Oslo degli anni ’90 rappresentano un tentativo concreto di risolvere il conflitto attraverso la creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele. Tuttavia, questi sforzi sono stati spesso compromessi da attentati suicidi, la crescita di Hamas e il fallimento delle leadership palestinesi nel trovare una posizione comune.
Israele sostiene che molte delle opportunità di pace siano state perse a causa della frammentazione politica interna palestinese e della mancanza di volontà di riconoscere la sua legittimità. In questo contesto, la ricerca della sicurezza e della stabilità a lungo termine giustifica un approccio prudente e talvolta rigido nei negoziati.
Le ragioni di Israele nel conflitto israelo-palestinese sono radicate nella sua storia, nella necessità di sicurezza e nella protezione della propria popolazione. Israele, nonostante le critiche ricevute per alcune delle sue politiche, vede le sue azioni come parte di un diritto fondamentale alla difesa e alla sopravvivenza. La pace duratura, dal punto di vista israeliano, può essere raggiunta solo quando vi sarà un riconoscimento reciproco e una soluzione che garantisca la sicurezza a entrambe le parti.
Francesco Magisano 

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