La stanca rincorsa del modernismo al postmoderno ignora che la sua essenza nasce dall’antico
di Vincenzo Olita*
Le Olimpiadi francesi hanno monopolizzato la nostra attenzione che, al di là delle competizioni, è stata attratta da infinite sollecitazioni succedutesi dalla cerimonia inaugurale a quella conclusiva.
Non ci soffermeremo più che tanto su tutto ciò che abbiamo visto e ascoltato, sarebbe pleonastico, ripercorreremo alcuni aspetti, a volo d’uccello, significativi per ragionare intorno alla nostra visione dei Giochi Olimpici.
L’inaugurazione? Nulla di nuovo, è da Berlino 1936 che l’Olimpiade perde la sua verginità, Hitler, nell’occasione, più che altro, mostra al mondo i progressi della sua politica; da allora ogni edizione lancia i suoi messaggi politici, sociali, di costume dove anche i singoli atleti trovano il proprio spazio rivendicativo.
A Parigi, molta sessualità offerta come contributo al postmoderno ed in particolare ad una concezione ossessiva del sesso cara ai conformisti di destra e di sinistra, forse, appassionabili ancora al pezzo dell’Unità del 14 luglio 1968: “non è l’esistenza dell’omosessualità ma è la ferocia razzista contro il terzo sesso che si scatena quando la morale si identifica con il moralismo più oscurantista e repressivo”.
No! in quella rappresentazione c’era poco di tutto, anche di postmoderno. L’Era Greco-Romana ha vissuto di costumi che oggi potremmo ritenere sconvenienti: si pensi alla pratica della pederastia e della pedofilia, che ci consentono di considerare una ritardata banalità l’affermazione di Thomas Jolly sterile ideatore della cerimonia: “abbiamo tanti diritti, inclusi quelli di amarci come vogliamo, con chi vogliamo”.
D’accordo, meno sulla necessità d’imporre coram populo una visione assillante del sesso e una successiva imbarazzante finzione di riprovazione vaticana coerente, del resto, con l’impaccio generato dal cardinale Fernàndez, prefetto per la Dottrina della Fede (Sic) noto per i suoi volumi: La pasión mistica e Guariscimi con la tua bocca: l’arte di baciare.
E all’intellighenzia francese forse è sfuggito che le contrapposizioni politiche sono mediabili ma non lo sono le diverse concezioni del mondo e della vita: da qui l’ampiezza delle divergenze.
Controversie che hanno interessato anche la tragedia, greca, in riferimento a Olimpia? Messa in scena dal nostro saltatore in alto. Quanto simpatico sostegno avrebbe avuto se invece di farsi fotografare, a poche ore dalla gara, su una barella d’ospedale con una flebo al braccio, per poi piangere in pedana ed ancora, con conoscenti a bordo tribuna, in lunghi abbracci più fisici che disperanti. No, non era una tragedia, solo una sceneggiata extraolimpica.
Del tutto antisportive e diseducative le cronache televisive Rai, comunque magnificanti, sempre una ragione, una scusante, un futuro certo per le prestazioni non lusinghiere dei competitori italiani.
Con la stessa gravità, commentiamo il comportamento degli inviati in occasione di affermazioni e vittorie. Una per tutte, la telecronaca dell’incontro per la finale di pallavolo con gli USA. Telecronisti, uomo e donna, completamente invasati, esaltazione che viepiù cresceva con il buon risultato italiano fino a raggiungere un impressionante stato di agitazione che verso la fine ha avuto momenti di vera ridicolaggine. Siete leggenda, Storia, ci siete arrivate, È l’oro storico, a mo’ di mantra urlato a strascico, Cosa hai fatto? Faccelo vedere tutta la vita, l’Italia è sul tetto del mondo olimpico, È vero, È vero, all’infinito e non una parola per la squadra statunitense.
Buon esempio di sportività da diffondere nelle scuole primarie.
Potremmo continuare a lungo, tanti esempi ed occasioni che non richiamano certo l’essenza olimpica. Dal CIO che fatica a disciplinare l’appartenenza ad un sesso certo, al doping cosiddetto “legale” quando ad un atleta è concesso l’uso di un farmaco non consentito, previa dimostrazione del beneficio su una criticità di salute e la non incidenza sulle sue prestazioni.
Tutto molto discutibile, da rivedere e regolamentare.
Alcune certezze, la più significativa la decisione del Presidente della Repubblica di ricevere il 23 settembre non solo gli atleti medagliati ma anche quelli classificatesi al quarto posto. L’informazione, naturalmente, si è affrettata ad esprimere consenso scrivendo: il bel gesto, uno sprone per Los Angeles 2028, un impatto morale, la saltatrice in lungo quinta a solo 6 centimetri dal bronzo, lo sport non si onora solo con le medaglie anche con il sacrificio. Insomma un segnale d’inclusione e integrazione particolarmente caro al Capo dello Stato, peccato che messo così appare solo come un gesto confusamente irrilevante fuori da qualsiasi logica olimpionica. Lo sarebbe stato, e di gran valore, se avesse esteso l’invito a tutti gli atleti partecipanti, questo sì un bel gesto per rivalutare lo spirito olimpico e la visione del barone de Coubertin.
Il trionfalismo di Parigi si è immediatamente raffreddato, almeno per il presidente del CONI, ricevendo segnali dal governo che non intende rinnovare il suo mandato per un ulteriore quadriennio. Giovanni Malagò ha fatto immediatamente intendere di non essere affatto d’accordo ad uscire di scena alla scadenza nel prossimo maggio adducendo essenzialmente due ragionamenti. Nel febbraio 2026 si apriranno le Olimpiadi invernali di Cortina e anche da Presidente della Fondazione Milano Cortina 2026, può interpretare un efficace ruolo di raccordo godendo anche del consenso di tanti presidenti di Federazione. Per sostenitori del liberalismo quindi fautori della divisione e del bilanciamento dei poteri le argomentazioni del Presidente non sono condivisibili. Dopo dodici anni, è di estrema opportunità rinnovare una carica ed è infantilismo politico far affidamento su una proroga facendo leva sul lavoro da compiere e sulle amichevoli stime. Tra le altre, sono anche queste le motivazioni per la limitazione del potere.
Altrettanto poco chiare sono le giustificazioni governative che sembrano voler compensare Malagò con la presidenza della Figc. E allora no, non è per amore della trasparenza o la limitazione del potere o per il necessario ricambio della dirigenza che si trasferisce una risorsa, fondamentalmente, nello stesso ambito. Forse la poltrona del CONI deve liberarsi per impegni ed interessi governativi e quindi si propone, di fatto, una partita di giro.
Al di là di avvenimenti e situazioni di contorno alla manifestazione olimpica è opportuno riflettere proprio sull’evento in sé, sul suo significato, sulla venatura sportiva, sulla sua attualità. Crediamo di essere in presenza di cosa del tutto diversa rispetto alla nascita e all’evolversi di una storia che data 776 a.C. 393 d.C. Ad Olimpia i giochi nacquero come momento religioso in omaggio a Zeus caratterizzati, su un versante da solenni riti, processioni, preghiere, sull’altro dall’osservanza del ferreo motto: “L’importante è vincere”, con nessun riconoscimento per il secondo e terzo classificato, checché ne dica il Presidente della Repubblica.
In queste settimane si è parlato abbastanza delle Olimpiadi come strumento di Pace e come l’occasione di una tregua olimpica, appunto. Inconsistente retorica presenzialista slegata sia dalle antiche che dalle moderne competizioni. Nel passato vi era tregua solo tra alcune città greche, nella contemporaneità non se ne ha traccia alcuna e non potrebbe essere altrimenti se il CIO, paragonabile al Gran Consiglio greco (bulè), sulla base di scelte politiche, attua anche sanzioni escludenti per alcuni Paesi.
In effetti, la XXXIII edizione ci induce a riflettere che la competizione è sempre più fra nazioni dove la preminenza degli Stati con le loro articolazioni sportive, per l’Italia CONI e Federazioni, ricuce un taglio politico sull’impianto organizzativo manageriale.
Ciò che l’Europeismo politicamente rifugge, quale peggiore dei mali, come nazionalismo e sovranismo, alle Olimpiadi, con l’ausilio di un diffuso simbolismo, dalle bandiere, alle tute, agli inni, vengono riscoperti e riportati a conveniente splendore. E non si dica che trattasi di aspetti secondari che non impattano su corrette visioni politiche. Non sono delegabili all’Europeismo decisioni, stili di vita, visioni del mondo e organizzazione della quotidianità, per poi sollazzarci con inni, bandiere, magliette e medaglie, simboli sostanzialmente divisivi.
E se così non fosse? Bene allora, tra l’altro, bisognerebbe spiegare ai nostri telecronisti, ai dirigenti sportivi, a qualche politico e via così che nulla è entrato nella storia, che vincere una partita di pallavolo non ci porta nella leggenda, che potranno pur far carriera in Rai senza farsi avvolgere dall’isterismo.
Ampollosità e vacuità non sono mancate alla baronessa Ursula Von der Leyen nostra presidente della Commissione europea: “Come la nostra Unione europea, le Olimpiadi mostrano la forza della diversità e dello spirito di squadra”. L’evento ha celebrato “la cooperazione globale, tra chi? la solidarietà, con chi? l’equità su cosa? e la perseveranza atletica” incomprensibile.
Noi, invece, crediamo che per l’Europa l’organizzazione di grandi eventi, per tanti aspetti, sia ormai un peso, il ruolo di terza fila della struttura politica di questo continente ci consente di intravede all’orizzonte il suo tramonto.
Solo un giullare fiorentino ha potuto dichiarare, a cuor leggero come suo costume, che Firenze potrà ospitare i Giochi del 2040.
Forse non ci sarà bisogno di una rinascita del Cristianesimo né di un editto di Costantinopoli (proclamato nel 393 d.C. da Teodosio, influenzato dal Vescovo di Milano Ambrogio) per ufficializzarne la loro chiusura.
In Grecia nacquero sulla centralità dell’uomo e il suo essere atleta, nel corso di un millennio di variazioni ne subirono tante, forse la più significativa quella apportata da Solone, a circa 150 anni dalla nascita, quando ai vincitori delle specialità si iniziò a riconoscere 500 dracme.
Le Olimpiadi dovrebbero e potrebbero averlo un futuro a condizione che l’utopia di un altro Pierre de Coubertin avvii un cammino al di là e al di fuori della logica politica in cui gli atleti ritrovino una specifica centralità non in rappresentanza di nazionalità.
Potrebbero ritornare ad essere fulcro di un movimento sportivo, in cui sia inesistente uno strumento simbolico e distorcente quale il medagliere, e dove non siano previste competizioni di squadra. Inevitabilmente, una comunità non solo è al centro della scena ma, perseguendo un obiettivo comune, potenzia l’appartenenza nazionale esaltando la dicotomia tra bandiere, indebolendo il gesto sportivo del singolo.
Non sarebbe una novità, infatti, nei Giochi dell’Antichità non erano previste le competizioni di squadra.
Se l’umanità vuole essere, realmente e nel profondo, affascinata dalle gesta sportive, attratta dallo sforzo fisico, dalla volontà e dall’impegno morale, l’Olimpiade deve essere depurata da ogni connotazione politica ed extra sportiva, disinquinata da contrapposizioni geostoriche e da contingenti conflitti.
Nazionalismi, supremazie, sovranità sono insite nella natura stessa di ogni struttura statale ne è stata esempio l’Apostola di uno scialbo europeismo la Presidente von der Leyen andata, maldestramente, a ricercarli nel medagliere dimostrando che le tre pericolose e brutte connotazioni sono tali e addebitabili a chi la pensa diversamente.
Ma questa è un’altra storia.
Non concludiamo senza sottolineare pericoli e criticità che l’agonismo, sempre più, si troverà ad affrontare come le modificazioni genetiche frutto di tecnologia medica le cui ricerche non escludono il potenziamento delle prestazioni umane.
Il transumanesimo su questo terreno, certamente, trova frontiere aperte
Infatti, si parla già di Giochi potenziati, anche per superare il problema della clandestinità del doping da mettere sotto controllo medico.
Quindi una legalizzazione per salvaguardare trasparenza e salute degli atleti. Se questi sono i binari del futuro i Giochi olimpici hanno le edizioni contate, non è d’interesse popolare appassionarsi ad un saltatore in alto che può saltate 2,40 metri e che grazie alla ricerca medica ne salta 2,50.
Altro che Spirito olimpico.
Per quanto ci riguarda, preferiamo restare fedeli al Barone in particolare ad una delle sue odi:
O Sport, tu sei Giustizia. La perfetta equità cui l’umanità aspira invano nelle istituzioni sociali è tua costante compagna. Nessuno può saltare un centimetro più di quanto possa saltare, né correre più del percorso che può correre. I limiti del successo son dati unicamente da forza fisica e morale.
*direttore Società Libera
foto www.catalunyaexperience.it