Sulle soglie sacre del mondo
Le nostre Finis Terrae sono molteplici e sono anch’esse luoghi geografici o luoghi del cuore e, talvolta, entrambi. Tanti i “finis terrae”, spesso sono luoghi sacri, come Compostela o Santa Maria di Leuca ove vi sono santuari che coniugano la spiritualità alla fine o inizio di un viaggio, che è più di un semplice “movimento” da un luogo ad un altro, ma rappresenta una “tensione” verso un luogo: scoperta, ritorno, andata, nostalgia, speranze, ambizioni sono tutti movimenti/tensioni dello spirito, mentre il corpo viaggia versa una meta.
Nel 1929 il regista francese Jean Epstein realizza il film espressionista Finis Terrae, dedicato alla comunità dei “goèmoniers”, gente di mare che abita l’isola di Ouessant, al largo della costa bretone, e vive della raccolta di “goèmon”: un’alga – il cui nome francese deriva dal celtico gwemon –, che si trova sulle coste dopo le imponenti maree dell’oceano, e che serviva per impieghi industriali. La Finis Terrae di Epstein metteva insieme un concetto geografico (la fine della terra abitata a confine con il mare) e uno antropologico-metaforico: la comunità dei “goèmoniers” vive ai limiti della civiltà, in balìa degli elementi. (cit da Franco Cardini – Luoghi dell’Infinito).
San Pietro viaggiò dall’Oriente per raggiungere Roma, si dice approdando a Taranto e di lì via terra, come molti altri pellegrini nei secoli o come i sognatori e scopritori di ogni dove e tempo, che si spinsero alla loro “finis terrae”, che – abbiamo detto – non è sempre un luogo fisico, anzi!.
Se il concetto di “limite”, quindi, lo applichiamo all’odierna questione morale della nostra società, quale è il finis terrae delle guerre? Fin dove possiamo e dobbiamo spingerci negli scenari di crisi che abbiamo di fronte? E’ lecito accettare il genocidio dei Palestinesi, voltando il capo dall’altra parte e giustificando la vendetta di Israele dopo il 7 Ottobre 2023? Oppure la contro-invasione ucraina di Kursk in territorio russo, evidentemente non risolutiva del conflitto?
I limiti della decenza sono stati ampiamente superati da tutte le parti in gioco e, soprattutto, dai “fiancheggiatori” di ogni parte che fanno i propri interessi sulle vittime che giornalmente rimangono nelle strade o sotto i palazzi crollati. A chi giova la guerra e, soprattutto, a chi giova spingere verso un non-ritorno alla pace? Si, certo, alle lobby delle armi, dei farmaci, della logistica e così via: la guerra è sempre stato un grande affare per chi non la combatte, ma la foraggia. Ma solo loro?
Il limite appare abbondantemente superato, in guerre senza regole ed arbitri, dove il confine tra giusto ed ingiusto è stato cancellato dalla inumanità dei contendenti, in una rabbia senza fine ed in un vortice di violenza senza etica, perché (nel tempo) si era creata anche un’etica della guerra, ormai disconosciuta dalle parti belligeranti dell’ultimo secolo.
Ciò che spaventa è la mancanza di proporzione negli eventi che hanno innescato le diverse reazioni dei vari Paesi: la sensazione e che ci sia più di qualcuno che soffi sui venti di guerra, non accorgendosi che il “bosco comune” che è la Terra ha preso fuoco o, forse, cerca proprio una immane catastrofe purificatrice.
La natura dell’Uomo è complessa, ma la parte istintiva ed irrazionale genera difese rispetto ai pericoli, mentre oggi pare che tutto sia fermo, che tutti temano le reazioni proprio dei guerrafondai, che soffiano come piromani sul fuoco, magari rimanendo essi stessi bruciati in maniera sacrificale.
Abbiamo parlato di Medio Oriente ed Ucraina, ma focolai di guerra sono sparsi in tutto il globo, sia come lotte interne negli Stati (ora il Venezuela) piuttosto che i terroristi Huthi nello Yemen.
La preoccupazione di molti è che da finis terrae si passi a quanto profetizzato nella Genesi “Finis universae carnis venit coram me; repleta est enim terra iniquitate a facie eorum”: «È venuta per me (Dio) la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza» (Gn 6,13).
Rocco Suma