Gli occhi sono lo specchio dell’anima
Il cavallo di Troia
L’Opinione di Roberto Chiavarini
Consiglio di leggere questo Testo fino in fondo
Mi rifaccio all’art. 21 della nostra e amata Costituzione che recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” … ed io lo faccio.
Si dice che gli occhi siano la porta che danno accesso alla profondità dell‘anima.
Beh, si, secondo me è proprio vero.
Quotidianamente, parlo soprattutto di Arte e penso che, un buon pittore, che sia anche un buon ritrattista, sia tale se, nelle sue rappresentazioni di volti, imprima negli occhi del suo disegno anche quella carica di umanità che solo uno sguardo sa esprimere.
Perché, in uno sguardo, c’è scritto tutto, ma proprio tutto di una persona.
E un buon esercizio in tal senso lo abbiamo praticato in gioventù, guardando gli occhi dei nostri genitori o del nostro Maestro delle Elementari, per comprendere cosa pensassero di noi e, poi, successivamente, da adolescenti, quando cercavamo nello sguardo di una ragazzina (e viceversa) la complicità delle rispettive anime.
D’accordo?
Si, ma da adulti, quando molti dei giovani di un tempo son diventati a loro volta dei genitori, è possibile che non si siano mai accorti dello sguardo dei loro figli che, ad un certo punto della loro esistenza, è totalmente cambiato?
Come fa un genitore a non rendersi conto che, il proprio figlio, ha bevuto e/o ha fumato certa robaccia?
Lo sguardo di quei ragazzi, cambia, perché quella spazzatura da paradiso artificiale mina la loro anima.
E dietro alla fatidica frase giustificativa di certi argomenti, ovvero del “così fan tutti i giovani d’oggi”, il genitore che la dovesse utilizzare, ammette di aver abdicato al suo ruolo di controllore, di educatore, di tutore e di guida spirituale del proprio figlio.
Al contempo mi chiedo: “…ma è mai possibile che, un genitore, consegni ai carnefici spacciatori di putride sostanze, l’anima del proprio figlio ma, soprattutto, astenendosi dalle sue responsabilità, non intuisca che alla fin fine mina perfino la sua stessa discendenza?”.
Vedo tanti giovani padri e madri con il loro “Cucciolo di uomo” tra le braccia, che lo crescono con amore filmando passo dopo passo l’evoluzione della loro famiglia. Quanto amore genitoriale. Poi il primo compleanno, il primo giorno di scuola, la prima comunione, il primo anno di scuole superiori, tutto filmato e documentato con tanta tenerezza …
Ma quando il loro figliolo arriva più o meno verso i 13 anni di età, cosa accade?
Pare che nella maggior parte dei casi, quegli amorevoli genitori, abbandonino il frutto del loro amore a sé stesso, che poi cade inevitabilmente negli artigli dei portatori del male. Perché nella vita in generale, per una legge naturale, laddove ci sia una preda in maniera spontanea c’è sempre un predatore ponto a ghermirla.
Ma a parziale discolpa di quei genitori per via del mancato controllo e della mancata educazione dei loro figli, dobbiamo tener conto che le attuali leggi impediscono ai padri e alle madri di intervenire attivamente e fattivamente sulla loro prole, magari con un bel ceffone al momento giusto e con un bel “no” a uscire di casa quando ciò si renda utile, per non incorrere nella ipotesi di paranoici reati penali emanati da parlamentari che hanno operato e operano ideologicamente fuori da ogni logica consolidata.
So che molti genitori piangono per i loro figli, ancora adolescenti, oramai consumatori e consumati dall’alcol e dalla droga, ovvero da quelle sostanze chimiche che creano dipendenza.
E oggi sappiamo anche della nuova droga immessa sul “mercato” internazionale, definita dagli esperti terribilmente come “la droga degli Zombie”, che una volta assunta trasforma il consumatore in un morto vivente.
Trovate i filmati su internet e vedrete coi vostri occhi come si riducono quei giovani, fatelo al solo fine di comprenderne le reali conseguenze sui quei poveri ragazzi.
Sembra incredibile di come in Italia il potere di controllo dei cittadini non si faccia più sfuggire nemmeno uno scontrino fiscale rilasciato dagli esercenti per un caffè e, di contro, non riesca a marginare il flusso di droga che, come un fiume in piena, riempie le nostre città e le nostre piazze facendo breccia tra i nostri giovani (dei quali nessuno ne ha più interesse a tutelarli), malgrado vi siano centinaia di telecamere e microfoni disseminati in ogni angolo urbano.
E in più va detto che il flusso di droga incide pesantemente nel computo della evasione fiscale che poi ricade su tutti i cittadini produttori di reddito attivo, ingiustamente e astrattamente accusati dai media nazionali di essere la causa di quella evasione. Ma di questo ne parleremo in un’altra occasione.
Ricordate quando al tempo del Coronavirus, i cittadini controllati non potevano fare nemmeno una passeggiata solitaria sulle spiagge (e giù droni, elicotteri, militari con gli anfibi e truppe da sbarco, per inseguire il solitario vecchietto in cerca di una salutare boccata d’aria pura da respirare a pieni polmoni) e, invece, per il flusso di droga non c’è argine che tenga?
Sentivo parlare in Tivvù di questo argomento un Sacerdote, il quale, mosso da pietà cristiana, diceva: “poveri papà e povere mamme”.
Scusate, ma un figlio tossico è o non è il fallimento della famiglia e, soprattutto, dei suoi genitori? O no?
Una preda lasciata sola, finisce inevitabilmente negli artigli del demonio predatore di anime.
Ahhh… quanto ci mancano le lezioni di Papa Woytjla su questo argomento riferito al dramma della droga.
Spero tanto che la Chiesa, quanto prima, cambi registro e torni presto ad avere una guida spirituale come quelle di una volta, che sappiano incidere concretamente su certi gravissimi temi.
Oggi, la Chiesa è occupata a parlare di accoglienza di quei poveri immigrati, che poi vengono abbandonati al proprio destino non appena mettono piede sul nostro territorio (si può dire ancora “il nostro territorio”?) di un “Tu per Tu” con Dio, col quale scherzare e raccontare barzellette su di lui, saltandolo irrispettosamente con un “ciao”, disintegrando così secoli di sacralità e di sano e dovuto Timore reverenziale verso il Creatore.
Mio padre è stato impiegato della Prefettura di Brindisi negli anni 60 e, in casa, ho sempre sentito parlare di accoglienza e di assistenza sul territorio degli extracomunitari.
Ma era tutta un’altra cosa, l’accoglienza era regolata severamente e coscientemente a quell’epoca, nell’assoluto rispetto dei cittadini.
Sono proprio una parte di quegli immigrati, caduti irrimediabilmente nelle mani della criminalità che, pur di sopravvivere, hanno alimentato la diffusione dello spaccio tra i nostri poveri ragazzi trasformandoli in belve senza Dio.
Mentre i genitori dei poveri adolescenti lasciati a sé stessi, si son voltati dall’altra parte facendo finta di non vedere (giustificando il loro permissivo atteggiamento, come se fosse adattato al naturale cambiamento dei “tempi” che stiamo vivendo), quando invece era proprio quello il “tempo” di intervenire per arginare il degrado nel quale sono piombate improvvisamente le loro famiglie, altrimenti significa divenire consapevolmente e moralmente corresponsabili di tutto questo disfacimento (eccezioni a parte, naturalmente).
Chi mi legge, riesce a immaginare per un solo momento cosa significhi vivere in una famiglia tormentata dalla sofferenza di figli drogati e alcolizzati?
Io sono il Presidente di una piccolissima Associazione per l’Alzheimer e molte volte sono incappato in racconti che hanno per tema proprio la contaminazione di giovani creature assoggettate al male.
È qualcosa che lascia senza fiato. Tanto più se consideriamo che la Sanità è ben lontana dall’offrire un sufficiente aiuto a quelle famiglie disgraziate.
Dicono i più: non ci sono i soldi per affrontare concretamente simili situazioni.
Ma chiedo a me stesso: ma un tempo, il valore aggiunto non era la solidarietà a prescindere? I soldi non c’entravano proprio nulla.
Qualche genitore obietta: ma io per essere aiutato nel mio compito di genitore, ho denunciato perfino mio figlio e i suoi spacciatori alle Autorità preposte, ma non è mai accaduto nulla.
Beh, questo è un altro argomento.
Nel triangolo delle responsabilità che si sono venute a creare socialmente, in realtà nessuno è immune da colpe morali. Ci mancherebbe altro.
Naturalmente, ripeto, salvo le eccezioni che confermino la regola.
Certamente, manca l’intervento della Autorità sul territorio, e questo lo sappiamo, i meccanismi di tutela sono oramai compromessi, ma la assenza di reazione di un genitore, unitamente alla rabbia di tutti gli altri genitori, avrebbe fatto tremare qualsiasi tempio sacrilego? O no?
Purtroppo, questa, è una società spiritualmente e moralmente fallita nel rapporto genitori-figli.
I genitori di ultima generazione, son venuti meno a quello che è il mandato che la vita gli ha conferito, ovvero la tutela della discendenza, biblicamente riconosciuta, che costituisce la spina dorsale per la continuità di ogni Civiltà, che passa di mano in mano, dal padre al figlio e dai figli ai figli che verranno.
Ma oltre alla droga, sono molti, moltissimi i genitori che inculcano colpevolmente nella mente dei propri figli che, da grandi, anziché specializzarsi in una professione, in un lavoro, in un mestiere, di lavorare sodo come hanno fatto i loro nonni, sarà sufficiente trovare una “raccomandazione” di un potente o di un prepotente per sistemarsi nella cosiddetta “Cosa pubblica” e/o nelle Aziende nazionalizzate e/o nelle piccole attività ad esse collegate, per tirare a campare fino alla vecchiaia (naturalmente dopo aver dimostrato al dispensatore di sistemazioni la propria “fedeltà militante”).
Che bell’insegnamento. Caspita.
Dunque, possiamo sostenere a questo punto, senza incertezze di sorta che, la dipendenza chimica (la droga) e quella psicologica (la raccomandazione riverente dai Potenti e dai prepotenti), sono i mali massificati e assoggettanti della società moderna.
Ricordo a proposito di assoggettamento, un famoso film di Alberto Sordi, il più drammatico interpretato dall’Attore romano, dal Titolo “Un Borghese piccolo piccolo”.
La storia del film, inizia con una battuta di pesca domenicale di Giovanni e Mario, padre e figlio, che stanno per tornare a casa e discutere con Amalia, rispettivamente la moglie e la madre dei due, su come sistemare il giovane figlio appena diplomato ragioniere.
Giovanni (il padre) apprende dal ministero dove egli è impiegato, di un concorso per milleduecento posti, cogliendo l’occasione per iscrivere il figlio Mario.
Temendo l’esito negativo di quel concorso per il proprio figliolo, data la quantità di raccomandati partecipanti e nella logica della sana spartizione politico-amministrativa dell’epoca nella quale il Film è ambientato, il padre del giovane “candidato a compromettersi” chiede il favore (la raccomandazione) al proprio capoufficio, il quale, a sua volta, può garantire solamente per la prova orale, salvo l’iscrizione del suo sottoposto a un gruppo di potenti e prepotenti (una sorta di “Loggia”), così da poter accedere a un canale privilegiato e conoscere anticipatamente i quesiti della prova (insomma, la criminale raccomandazione, dal punto di vista morale naturalmente, che sottrae agli altri candidati meritevoli, le pari opportunità all’accesso nella infernale macchina della sistemazione impiegatizia).
Giovanni (Alberto Sordi), accetta e viene istruito (che fantastica educazione) dal superiore per unirsi alla congrega e preparare il ragazzo al gran salto di qualità (corruttiva) per diventare il cosiddetto “Maestro del nulla”.
Così si esprimeva nel film Giovanni Vivaldi (Alberto Sordi) parlando degli esami al figlio Mario: “Mario, non siamo soli, dietro di noi c’è il Grande incognito, il Capo sconosciuto della massoneria. Stiamo calmi, e se facciamo il nostro “dovere” (per dovere si intende forse il dimostrare la loro incondizionata Fedeltà al Potente che garantirà al figlio Mario uno stipendio vita natural durante, mantenuto attraverso il denaro pubblico?) coll’aiuto di chi può, ce la faremo.”
Il giorno del concorso, tuttavia, i due (padre e figlio) giunti sul posto dove si svolgeranno gli esami (truccati), trovano il destino ad aspettarli, tanto da essere coinvolti incolpevolmente in una sparatoria a seguito di una cruenta rapina che si svolge li vicino e, il giovane candidato al posto pubblico, resta ucciso accidentalmente.
Poco tempo dopo, la signora Amalia, la madre della povera vittima, verrà colpita da un ictus che la priverà dell’uso della parola.
Giovanni, ogni settimana viene convocato in Questura per l’identificazione dei rapinatori tra i fermati occasionali quando, un giorno, sembra riconoscerne uno di quei banditi, pur negando alla Polizia la sua individuazione.
E, poi, che importa, nel tempo della degenerazione massificata della nostra società contemporanea (che è anche e soprattutto il nostro “Tempo”), per il povero padre in cerca di giustizia, un criminale vale l’altro.
Successivamente, rintraccerà quel giovane bandito e dopo averlo torturato, lo ucciderà senza pietà.
Quale è la morale di questo film?
Che il padre della povera vittima della rapina, provato da un così terribile destino, si ribella tardivamente alle conseguenze della corruzione (valga anche per quei genitori che si accorgono tardivamente che le anime dei loro figli son diventate corrotte dallo spaccio) e, dunque, dall’assoggettamento, fino a cadere a sua volta nella violenza più assurda, tanto da determinarsi a farsi giustizia da solo, nel rispetto della regola che stabilisce che se si è associativamente dalla parte del potere tutto va secondo gli schemi, ma quando giocoforza si diventa ostili e contrari a quel potere (anche a seguito di un destino beffardo), si resta tragicamente soli.
Si sveglia, quel padre, dunque, da un torpore determinato dal “così fan tutti” e, forse, comprende tardivamente che nella vita i piatti della bilancia finiscono sempre per riallinearsi in maniera cruenta.
Certamente, in quel caso umano, narrato attraverso il canovaccio del film, si trattava di malviventi adusi alle rapine, mentre nel caso dello spaccio della droga al quale facevo riferimento all’inizio della mia opinione, sono criminali adusi alla vendita di quel veleno.
Ma sono sempre entrambi dei criminali frutto di questa Società malata che, invece di puntare tutto sulla meritocrazia e sulla indipendenza intellettuale dell’individuo, ovvero sulle pari opportunità e sulla esaltazione dei valori personali, basa tutto il proprio “credo” sulla “raccomandazione clientelare” massificata che, a sua volta, spacca la società in due e che (per via della impossibilità ad avere pari opportunità e pari dignità di accesso nel mondo del lavoro subordinato) molto, ma molto spesso, la parte impossibilitata ad esercitare il proprio diritto, si schiera nell’area dell’antistato rimanendo essa stessa discriminata e criminalizzata.
Tornando a quel povero padre, egli si accorge d’un tratto, di non avere più un posto su questa terra, schiacciato com’è in mezzo a due tipologie di violenza, da una parte quella per ottenere un posto pubblico, ovvero all’assoggettamento e alla raccomandazione (assoggettamento alla violenza clientelare del più forte) e dall’altra quella di un illecito arricchimento riveniente da una rapina, così pure per lo spaccio (assoggettamento alla violenza materiale del più forte), consapevole com’è che ciò che sta per attuare su quel giovane criminale presunto responsabile della morte di suo figlio, segnerà la definitiva fine della sua famiglia, sfuggita nel frattempo, alle sue stesse regole e alle indistruttibili leggi etico-morali.
Perché la giustizia, la vera giustizia, quella Divina, alla fine di ogni retorica, punisce con la distruzione esistenziale di entrambi, vittime e carnefici.
C’è un proverbio attribuito (pare erroneamente) a Confucio, che sostiene: “Date a un uomo un pesce e mangerà un giorno. Insegnategli a pescare e mangerà tutta la vita”.
A buon intenditore poche parole.
Infatti, oggi, la corruzione, intesa in ogni sua più complessa sfaccettatura, ha compromesso non solo quel padre simbolo della sconfitta familiare, ma la intera comunità che, in mancanza di un urgente ravvedimento sociale etico-morale-religioso, nella realtà del declino di tutti i giorni nella quale è caduta, porterà alla sua autodistruzione.
Poiché Dio mette costantemente l’uomo di fronte alle proprie responsabilità, costringendolo a guardarsi nel profondo della sua coscienza, alla ricerca di un seppur minimo sussulto di dignità.
E nel bel mezzo di questo schifo, emerge la corrotta (di tipo morale) raccomandazione che sottrae, molto spesso maldestramente, a chi ne ha il merito qualsiasi possibilità di affermazione nella società di oggi.
La degenerazione sociale, non ha una genesi che prende vita dalla strada, come sarebbe facile pensare (o come ci inducono a pensare le famose “Menti superiori), ovvero, laddove si annida il crimine, ma inizia all’interno di ogni singola famiglia, che si offre, inconsapevolmente, ad esso, come vittima sacrificale posta sull’altare del male.
Tanto che, la famiglia tollerante, accettando l’assoggettamento (indipendentemente da qualsiasi tipologia esso abbia), ha finito per dare la possibilità ad una “certa parte immanente” del potere prepotente (propositore del “caos sociale” degenerativo), di introdurre all’interno delle “mura domestiche”, l’ideologico “Cavallo di Troia” costituito dal cosiddetto “pensiero unico” (ovvero, l’arrendevole “così fan tutti”), finalizzato alla distruzione delle comunità familiari, intaccando corrosivamente le tradizioni secolari nei suoi valori più elementari di convivenza e di gerarchia parentale, tanto che qualcuno ha ipotizzato scherzosamente (magari in buona fede), la necessità di dare un contributo sostanziale al cambiamento dei nuclei familiari, a cominciare dalla sostituzione dei sostantivi di “Mamma” e “Papà”, con “Genitore Uno” e “Genitore Due”.
E dire che in alcune zone d’Italia, la lingua dialettale definisce “Sire” il papà, ovvero colui che è sempre stato nella tradizione il “Re” della famiglia che, a sua volta, dispensava saggezza religiosa, regole, moralità ed etica (sull’annichilamento della figura maschile, ne riparleremo in un’altra circostanza).
Infine, vale la pena ricordare a tutti che, gli odierni mali della società contemporanea, partono da molto lontano, basti pensare all’Avvocato Pietro Calamandrei, Uomo di punta della Resistenza e Costituzionalista, per quanto ebbe a scrivere tra gli anni 60 e 70 a proposito della corruzione:
“La Politica dominante, con ammirevole pazienza e coerenza, sta sistemando i suoi fedeli non soltanto nei pubblici uffici, necessariamente temporanei, ma nelle più stabili e più lucrose cariche direttive degli istituti controllati dallo Stato, nelle banche, nei giornali, nei consigli di amministrazione delle grandi industrie: ovunque ci sia un profitto da trarre, una prebenda da lucrare, un gettone di presenza da riscuotere, una poltrona comoda con molti campanelli sulla scrivania e alla porta un’automobile da sdraiarcisi senza pagare.”
ULTIM’ORA
Un’ultima ora giornalistica ci segnala che, a Pescara, sarebbe stato consumato un omicidio nel parco “Baden Powell”, titolando… “16enne ucciso a coltellate. Fermati due liceali coetanei… Uno dei due è il figlio di un maresciallo dei carabinieri mentre l’altro è il figlio di un avvocato”.
La vittima, Christopher Thomas Luciani, colpita con 25 coltellate. All’origine dell’aggressione pare ci sarebbe un debito di droga con i due presunti assassini di 200-250 euro.
Dopo il delitto i due sono andati a fare il bagno al mare.
Fin qui la titolazione di quella Testata giornalistica locale.
La palese incongruità dell’evento, sta nel fatto che due genitori in possesso del loro potere professionale, uno maresciallo dei carabinieri e l’altro avvocato, in possesso di due titoli differenti tra loro ma sufficienti per intervenire sulla vita deviata dei propri figli, restino essi stessi vittime di quel tragico evento.
E allora mi chiedo: cosa potrà mai fare un genitore qualunque e a mani nude, laddove volesse intervenire, sia pure tardivamente e giammai preventivamente, in favore dei propri figli per strapparli al loro degrado?
Quindi deduco, che non è solo la famiglia l’unica responsabile del declino intellettuale e culturale degli adolescenti di oggi, bensì quel “pensiero unico” imposto con violenza sulle masse giovanili da parte dal cosiddetto “Sociologismo indotto”, che intende imporre nuovi usi e costumi di una società corrotta e malata che deve fondare il proprio credo sull’assoggettamento modernizzato e rafforzato, pane quotidiano e alimento nutritivo di tutte le forme di criminalità. Ma anche di questo ne parleremo in un’altra occasione.
Certamente, ciò che scrivo rappresenta il mio punto di vista, e ci mancherebbe altro, che potrebbe essere anche sbagliato e frutto di una errata interpretazione della vita contemporanea, per questo sono sempre pronto al sano confronto con chiunque intenda eccepire i miei assunti e, al contempo, sono pronto a correggere me stesso e a modificare quanto di sbagliato io possa aver dedotto.
Ciò nonostante mi avvalgo dell’art. 21 della nostra amata Costituzione, come ho sopra premesso, proprio per creare un sano dibattito sull’argomento.
Buona vita a tutti.
Roberto Chiavarini
Opinionista di Arte e Politica
https://www.stampaparlamento.it/2024/08/12/gli-occhi-sono-lo-specchio-dellanima/
Gli occhi sono lo specchio dell’anima
12 Agosto 2024 By Redazione
Il cavallo di Troia
L’Opinione di Roberto Chiavarini
(Commento all’articolo)
*
Roberto Chiavarini offre una riflessione critica e ampia sull’attuale
situazione della società.
L’opinionista tratta tematiche quali la diffusione della droga, l’educa-
zione dei giovani, la famiglia e il decadimento etico, avvertito in aumento.
L’articolo è vivificato da una inquietudine profonda per il futuro del-
le giovani generazioni.
L’intellettuale stigmatizza la responsabilità e l’inerzia delle istituzio-
ni e dei genitori, relativamente a situazioni annichilatrici quali, per esempio, la tossicodipendenza.
Il Salentino evidenzia e tematizza in che modo, in quale entità, la col-
pa essenziale sia della famiglia, nella quale l’opinion leader ravvisa l’origine della decadenza sociale contemporanea.
E’ opinione di Chiavarini che molti genitori moderni sono carenti nel
loro ruolo di psicagoghi, sia morali sia spirituali.
Di fatto, secondo l’articolista, i genitori hanno abdicato alle loro fun-
zioni a causa del timore di intervenire o della loro permissività.
Fondamentale è il nesso che egli individua tra lo smarrimento etico
della società moderna e la sua decomposizione.
Quest’ultima viene identificata sia nel fenomeno della “raccomanda-
zione” sia nella diffusione della droga.
La disamina si allarga pure a un più vasto ambito.
Chiavarini biasima le odierne politiche e leggi che, a parer suo, ren-
dono più difficoltoso agire in modo netto nella vita dei figli, poiché compromettono l’autorità genitoriale.
Il Brindisino non risparmia critiche neanche alle istituzioni e alla Cu-
ria.
Queste sono responsabili dello smarrito del timone delle virtù basi-
lari.
Per converso, stanno coniugando teorie che sfibrano ancor di più il
tessuto sociale.
Chiavarini volge al termine dell’articolo facendo chiaro riferimento
al “pensiero unico”, alla sua sempre più crescente influenza.
Un “pensiero unico” che entropizza, annienta e massifica le nuove
generazioni, che propone coattivamente inusitati e alterati paradigmi pedagogici e ideologici, alieni dalle virtù della tradizione.
Il tono di Chiavarini è profondamente nostalgico e appassionato.
Egli riferisce una percezione di dissolvimento di un passato che si
nutriva di valori più solidi, sia socialmente sia eticamente.
Roberto Chiavarini spicca per la sua voce appassionata e autorevole,
abile nel proporre stimolanti e profonde meditazioni sull’attuale società.
Con la sue disamine penetranti e lucide ci esorta al confronto con le
sfide morali ed etiche dei nostri tempi e tematizza la rilevanza dei valori topici della tradizione che si stanno eclissando.
L’opinionista è magistrale nel connettere tematiche composite e arti-
colate con la realtà contemporanea.
La limpidezza con la quale riporta le sue idee è un eccellente apporto
per una pubblica dialettica, più critica e più consapevole.
Animi est enim omnis actio,
et imago animi vultus,
indices oculi.
Ogni azione parte dall’animo,
e il volto è l’immagine dell’animo,
gli occhi ne sono l’indice.
(Marco Tullio Cicerone)