Paolo Borsellino e la nostra memoria storica
di Maria Grazia Massimiani
Sono passati 32 anni dalla morte di Paolo Borsellino. Mai come oggi la sua ultima intervista si rivela attuale e unica nella sua complessità.
Nel 1992 due giornalisti francesi di Canal Plus, Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, si recano nella sua casa per intervistarlo sulla mafia, i due stanno preparando un documentario per la televisione francese.
L’intervista si concentra sui rapporti tra mafia e imprenditoria milanese. In particolare nelle figure di Mangano – Berlusconi – Dell’Utri.
Un’intervista potente. Una potenza emotiva perché organizzata due giorni prima della strage di Capaci e ben cinquantasette giorni di quella di via D’Amelio. Una potenza comunicativa perché si evidenziavano già nel 1992 i rapporti tra la mafia e una certa un’imprenditoria milanese accondiscendente. Un’intervista che probabilmente sarà stata quella che determinerà la morte di Borsellino, secondo quanto detto dai giudici nelle inchieste successive.
Dopo la strage di Capaci, il Parlamento, sulla spinta emotiva di quanto accaduto, si attiva nel formulare il decreto legge numero 306 del 1992. Il decreto inasprisce duramente il regime carcerario, la gestione patrimoniale mafiosa e la protezione dei collaboratori di giustizia. Proprio per questi motivi sembrerebbe che la morte di Paolo Borsellino non sarebbe stata inizialmente nei piani di Cosa Nostra ma si sia fatta concreta, secondo alcuni collaboratori di giustizia, solo successivamente questa intervista. Pare infatti che Salvatore Riina sia venuto a conoscenza del contenuto e che abbia deciso di uccidere anche Borsellino per preservare i soggetti al centro dell’inchiesta giornalistica.
Dagli anni Settanta in poi la mafia cambia la sua natura grazie agli enormi capitali dovuti al traffico della droga. Da mafia contadina/agricola assistiamo ad un cambiamento per una mafia più industriale. I capitali mafiosi devono essere gestiti perché divenuti ingenti. Una parte dei soldi vanno all’estero grazie a finanzieri che muovono capitali importanti ma una parte di questi enormi investimenti saranno impiegati anche in forma lecita verso il nord Italia.
Borsellino nell’intervista del 1992 ci racconta di Vittorio Mangano come la testa di ponte tra la mafia palermitana e l’imprenditoria milanese. In particolare Mangano, residente a Milano da diverso tempo, era stato in grado di tessere relazioni con gli ambienti imprenditoriali milanesi ed in particolare con Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.
La strage di via D’Amelio viene ad essere una strage necessaria perché anticipava una possibile interruzione della trattativa tra mafia e Ros ad opera di Paolo Borsellino e per evitare indagini di quest’ultimo sui rapporti tra mafia e Silvio Berlusconi. Privando di conseguenza la mafia di una fetta di mercato industriale.
Mai come oggi l’intervista di Paolo Borsellino è cosi attuale. È attuale perché ci ricorda come le mafie fagocitano il mondo finanziario ed economico grazie al supporto di una certa imprenditoria deviata e perché è memoria storica di alcuni personaggi, come Berlusconi e Dell’Utri e sulle loro attività.
Proprio per questo abbiamo il dovere di ricordare la testimonianza che Paolo Borsellino ci ha lasciato. Un dovere civico e morale al quale dobbiamo saper rispondere.
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