Dissidi politici tra Cina e Occidente e il drastico calo di stranieri in terra cinese.
Attualmente la Cina si presenta come uno dei colossi mondiali più influenti in campo politico, militare ed economico. La storia e la cultura millenaria da sempre legate ad un’indipendente tradizione popolare e l’interessante influenza linguistica e religiosa avvenuta con i paesi più vicini, come Giappone, Corea e Manciuria, la rendono una realtà unica a livello globale.
Tuttavia, la ragione primordiale per cui tale paese abbia raggiunto tale fama, affonda le radici su uno stravolgimento di una realtà economica da rurale ad industriale. A seguito della decisione di Pechino di aderire all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), avvenuta nel 2001, il quadro finanziario cinese ha comportato un taglio netto con la “rivoluzione culturale” stabilita da Mao Zhedong e la lenta fuoriuscita da una situazione inflazionistica divenuta critica durante gli anni ’80 del secolo scorso. Agli esordi del 2021, la bilancia commerciale cinese ha raggiunto un valore di 3.37 miliardi di dollari, traguardo mai registrato da nessun’altra Potenza mondiale nella storia dell’esportazione estera. Nonostante il 2019 abbia visto un quadro finanziario fortemente minato dai dazi imposti dagli USA per limitare “l’aggressività economica cinese”, la Cina è oggi uno dei pochi paesi al mondo a presentare l’egemonia assoluta in campo tessile, chimico e tecnologico.
Alla base della decisione dell’ex presidente americano Trump di imponendo tasse di oltre 60 miliardi di dollari nelle importazioni di prodotti cinesi, vi è stata l’intenzione di punire pratiche commerciali politicamente scorrette esercitate da Pechino, tra cui il dumping (esportazione di prodotti venduti a un prezzo molto più basso rispetto a quello di produzione). Negli ultimi anni, la Cina avrebbe infatti esportato merce del settore metalmeccanico e manifatturiero a un prezzo di mercato minore del 20% rispetto a quello di produzione, inducendo molte industrie europee a un’inevitabile crisi economica. Secondo l’ultima indagine condotta da un gruppo di esperti (il think tank), anche i veicoli elettrici cinesi esportati nel mercato europeo potrebbero essere stati oggetto di dumping, scatenando una forte tensione a livello finanziario tra Cina ed Europa.
Tuttavia, sebbene gli ultimi vent’anni abbiano assistito ad una rapida evoluzione, seppur spesso problematica, nel settore economico e industriale, i rapporti interculturali tra Cina e Occidente si presentano ancora come un percorso lungo e laborioso da plasmare. Nonostante la cultura cinese si stia sempre più insinuando nella vita occidentale, abbracciando le società europea ed americana nella loro globalità, la presenza di stranieri in grandi città come Pechino, Shanghai e Guangzhou, è ancora molto limitata. Nel 2023, il numero di occidentali in terra cinese è sceso del 15% rispetto al periodo pre-pandemia.
Per quanto il presidente della Repubblica Xi Jinping dichiari di esercitare manovre politiche volte ad attrarre più studenti e manager occidentali nel campo finanziario, la conclusione del lockdown del 2022 ha assistito al ritorno in patria di molti cittadini europei un tempo residenti in Cina. Il numero di tedeschi presenti a Shanghai è infatti sceso del 25%, seguito dal 20% di italiani e francesi. Attualmente, la Cina conta una stima di lavoratori occidentali pari a poco più di ottocentomila persone (contro i due milioni del 2019), stesso numero presente in Paesi esteri dalla dimensione e densità notevolmente ridotte, come Norvegia e Serbia. Tra le cause principali di tale fenomeno si riscontrano almeno cinque leggi, modificate o da poco entrate in vigore, mirate al divieto di espatrio di cinesi o manager stranieri. Secondo quanto riportato dalla Camera del Commercio in Cina, in un arco temporale di soli cinque anni, il numero di dipendenti stranieri all’interno di industrie è arrivato a dimezzarsi, se non ad annullarsi del tutto.
Alla luce di un quadro sociale così precario, il vice ministro del commercio Guo Tingting ha dichiarato, durante la riunione del development forum di Pechino, l’urgenza di ricorrere al cosiddetto “trattato nazionale”, manovra finanziaria volta a trattare in modo eguale industrie estere e locali. L’aumento di fenomeni persecutori e di spionaggio esercitati dalle autorità cinesi, non ha comportato infatti solo il calo di cittadini in terra cinese ma ha anche colpito il numero d’investimenti diretti esteri, calato dell’8% solo nel 2023. Il trattato nazionale propone dunque come obiettivo principe maggiori collaborazioni con compagnie estere, auspicandosi di approdare ad un piano finanziario più florido nel settore tecnologico, energetico e manifatturiero.
Viviana Maya Bellavista