Lingua italiana addio
di Sandra Fallaci
Dato che il linguaggio parlato e scritto è quello che ci distingue dagli animali, sarebbe bene riflettere meglio su ciò che sta accadendo in questo Paese.
Si sa che le lingue cambiano nel tempo, questo è inevitabile perché se cambiano le cose dovrà necessariamente cambiare il codice che quelle cose deve esprimere, ovvero la lingua.
Anche il passaggio dal latino all’italiano ha comportato secoli di adattamenti, con apporti dal greco, dal longobardo e via dicendo. Il Placito di Capua è considerato il primo documento in volgare, un testo con valore giuridico riguardante una contesa tra il monastero di Montecassino e un feudatario per una questione di confini, che risale alla seconda metà del X sec. Ma ancora precedente è l’Indovinello veronese, e sicuramente nel parlato già da molto tempo addietro il tardo latino e le prime forme di volgare erano comparse, mescolate in un linguaggio nuovo che avrà fatto sicuramente inorridire i nostalgici del latino; quest’ultimo comunque sopravvisse ancora nei monasteri e nelle Università.
Si tratta di cambiamenti avvenuti nel corso di secoli. Ma in questo periodo assistiamo sconcertati a cambiamenti rapidissimi della lingua italiana, infestata com’è di anglismi; questi ultimi sono divenuti eccessivi, non ce n’è alcun bisogno vista la ricchezza di vocaboli dell’italiano…Un conto è conoscere le lingue, altro è farne un buffo miscuglio: qualche termine di uso internazionale sarà necessario, ma per favore non esageriamo. La lingua italiana ha debiti anche col francese per esempio, ma anche in questo caso si è trattato di un lungo percorso.
Invece l’infestazione dell’italiano avviene a una velocità eccessiva, senza che si rifletta sul fenomeno.
Sarà il caso di domandarsi quanto gli italiani amino l’Italia, lingua compresa…?
I francesi, che amano il loro paese, avevano già tradotto il computer in francese dopo gli anni ’80.
Magari si potrebbe iniziare anche dalla scuola (dove l’insegnamento della nostra lingua ha avuto una flessione, ultimamente). Naturalmente è importantissimo lo studio delle lingue straniere, che dovrebbe anzi venire incrementato. Ma va tenuto conto anche dell’italiano, che è una lingua flessiva, complessa e perciò più difficile di altre; basti pensare all’inglese che ha una struttura grammaticale minima, ma anche a confronto delle lingue neolatine l’italiano ha una maggiore ricchezza di vocaboli. Ricchezza che dovrebbe essere mantenuta.
Invece ovunque, telegiornali compresi, si assiste a una serie di amenità com’è capitato nei sottotitoli (anzi, slides…) della Tosca pucciniana dove alla protagonista scendevano lacrime sulle guancie (con la i), mentre i sottotitoli in inglese erano perfetti; oppure capita di leggere un’alibi (come se fosse femminile), e in una trasmissione sulla salute si è sentito dire che non è bene ingoiare i nocciòli, cosa che già sapevamo anche perché gli alberi di nocciòlo sono un po’ indigesti. E c’è anche chi confonde pèsca con pésca, àncora con ancòra ecc…, ma sono stranieri e quindi scusabili.
Alle amenità non c’è comunque mai fine, c’è persino qualcuno che si mette a discutere se Dante è più di destra o di sinistra: e qui credo si sia raggiunto il massimo.
Ma bisogna dare fiducia al Paese, ci sono anche tante persone con la testa sul collo, che sanno quel che dicono e sono contro questa eccessiva accelerazione nell’introdurre termini o espressioni di altre lingue nell’italiano: come dire che sono contro il colonialismo anche linguistico.
E poi l’Accademia della Crusca vorrà dire certamente la sua. E meno male che esiste, con sede a Firenze nella Villa Medicea di Castello, e sta proseguendo col suo prezioso lavoro. Grazie.
SandraFallaci©