L’era dei social media sta finendo?
Editoriale di Daniela Piesco co-direttore Radici
La città di New York ha aperto una causa contro TikTok, Facebook, Instagram, YouTube e Snapchat ritenendoli responsabili di aver peggiorato la salute mentale di minori e adolescenti. Depressione, ansia e disturbi dell’apprendimento sono tra gli effetti principali riscontrati tra i più giovani a causa della dipendenza creata dai social media, a cui, secondo l’accusa, faticano a sottrarsi per colpa degli stessi algoritmi che fanno funzionare le piattaforme.
Certo è che la crisi dei colossi del web potrebbe trasformarsi in opportunità per ricalibrare il modo in cui comunichiamo e rimettere al centro le connessioni umane…
La denuncia insiste proprio sull’intenzionalità delle aziende nel progettare i social per manipolare e rendere dipendenti i minori e gli adolescenti. Questo accadrebbe attraverso l’uso di algoritmi per generare contenuti che trattengono gli utenti a lungo sulle piattaforme e ne “incoraggiano l’uso compulsivo”, meccaniche “simili al gioco d’azzardo” che creano il desiderio “di like e cuori” e il bombardamento di flussi continui e personalizzati di contenuti e pubblicità.
Inoltre le piattaforme manipolerebbero gli utenti attraverso “la reciprocità”, cioè quella spinta che ci fa sentire obbligati a rispondere a un’azione positiva con un’altra azione positiva. Secondo l’accusa, la reciprocità sarebbe una forza sociale particolarmente intensa tra gli adolescenti, che i social sfruttano dicendo al mittente quando un messaggio è stato visto o avvertendo quando viene consegnato, incoraggiando quindi le persone a tornare continuamente sulle piattaforme, perpetuando le interazioni online e le risposte immediate.
Prima della rivoluzione degli smartphone e di Instagram, l’obiettivo delle piattaforme era la connessione tra persone, non la pubblicazione di contenuti
LinkedIn rendeva possibile la ricerca di lavoro attraverso una rete di contatti, Facebook permetteva di ritrovare i compagni di liceo. Poi, lentamente i social hanno smesso di essere “network” e sono diventati “media”. Invece di facilitare la vita offline, i collegamenti si sono trasformati in una rete globale in cui chiunque può dire qualsiasi cosa a chiunque altro, il più spesso possibile. All’improvviso, miliardi di persone hanno iniziato a considerarsi celebrità, esperti e influencer.
Il rapporto tra persone è passato in secondo piano: I social media hanno dimostrato che tutti hanno il potenziale per raggiungere un vasto pubblico con bassi costi e alti profitti, e questo ha dato a molte persone l’illusione di meritarsi un pubblico
L’azione legale chiede quindi che la condotta delle aziende dietro alle piattaforme social, cioè Google, Meta, ByteDance e Snap, sia dichiarata un problema collettivo da eliminare e che queste paghino un grosso risarcimento in denaro ancora non quantificato.
Ma la caduta dei social potrebbe rappresentare davvero un’opportunità per ricalibrare il modo in cui comunichiamo?