Interviste & Opinioni

Beato subito

di Vincenzo Olita

Affinché un Venerabile possa essere dichiarato Beato occorre constatare che un avvenuto miracolo sia riportabile e ascrivibile all’interessato.

È il caso del Presidente Giorgio Napolitano a cui sono certamente attribuibili non uno ma alcuni miracoli. Naturalmente parliamo di un Beato laico in sintonia con tutto ciò che di laico c’è stato nella sua dipartita.

Dal funerale laico, alla visita laica in Senato alla camera ardente, senza alcun contegno religioso del Papa, al discorso laico del teologo cardinale Ravasi, alla sepoltura nel cimitero acattolico del Testaccio. Molto da rispettare in quanto volontà e condotta di vita del Presidente, meno comprensibile la superficialità comportamentale del vertice vaticano.

Ma torniamo ai miracoli, dal più modesto, lo smisurato ossequio del Presidente del Senato, il pentito La Russa: “Prima volta per un Papa al Senato, grande onore averlo avuto qui, è stato affettuosissimo nei miei confronti”, alla banalità degli interventi commemorativi dove superficialità e piaggeria contrastavano con la solennità del momento, in cui si sono particolarmente distinti Giuliano Amato, Gianni Letta e Paolo Gentiloni, con il suo inno all’Europa e all’europeista. Vacuità e cortigianeria per noi sprovveduti, ma secondo miracolo per l’Emerito che ha voluto trasformare il suo funerale nella Festa della Repubblica, come sentenziato e osannato dalla compiacente informazione. Quasi mai il Paese ha visto una tale unanimità di consensi della politica, della Chiesa e della schiacciante maggioranza dell’informazione, a cui si sono aggregati lo scialbo Presidente tedesco e l’accorto ingegnoso Macron, riverente per il gran sostegno “L’Italia farà quel che è necessario” che l’Emerito espresse per l’attacco alla Libia nel 2011 con l’operazione Odissey Dawn orchestrata da Francia, Gran Bretagna e USA avviando così la destabilizzazione della sponda africana e l’implementazione dell’emigrazione.

E così dai miracoli nazionali siamo a quelli globalizzati che, forse, solo la nostra pochezza rispetto all’analisi politica ci impedisce di coglierne le argute e brillanti visioni geopolitiche; posizioni che non sono certo sfuggite agli analisti di Repubblica che il 23 settembre hanno informato: “Giorgio Napolitano, un liberale tra le file del PCI, convinto europeista”. Ne siamo certi, lo ritroveremo negli annali dell’informazione come esempio di giornalismo altro dal giornalismo.

Infatti, era tanto liberale che nel 1956 per l’insurrezione ungherese e   l’occupazione sovietica – 3500 morti, migliaia di feriti – ebbe a dichiarare:” l’intervento militare sovietico ha impedito che l’Ungheria cadesse nel caos della controrivoluzione e ha contribuito a salvare la pace nel mondo”. Proprio così si esprimeva il compagno liberale: tutto comprensibile e accettabile nell’ambito dello scontro ideologico, delle contrapposte visioni del mondo. Non così a partire dal settembre 2006 quando a Budapest, nel cinquantenario dell’insurrezione, Napolitano Presidente della Repubblica, rese omaggio “a nome dell’Italia, di tutta l’Italia, e nel ricordo di quanti governavano l’Italia nel 1956 e assunsero una posizione risoluta, a sostegno dell’insurrezione ungherese e contro l’intervento militare sovietico”.

Un intelligente e astuto cambio di opinione, ma la dignità e l’onore?

Non pervennero. È da ricordare che, tra altri, Laszlo Balas Piri e Sandor Racz, noti protagonisti della rivolta del 1956, avevano richiesto l’annullamento della visita.

E io, che non amo soffermarmi sul mio privato, questa volta disattendo quel privato che è stato propedeutico alla mia visione del mondo. Bambino di sette anni nel 1956, dopo aver visto l’unico telegiornale della sera, con le cruenti immagini di giovanissimi ungheresi armati di molotov contro i carri armati sovietici, andavo a letto dopo aver recitato con la nonna una preghierina per quei giovani.

Oggi, da liberale, continuo a credere, cosciente dell’influenza di una mia visione utopica e per certi versi romantica della politica, che dal dopoguerra il mondo abbia conosciuto e subito sia l’imperialismo sovietico che quello americano a cui oggi si accompagna anche il cinese.

Certo non è un liberalismo da compagno liberale, né quello di liberale condiscendente atlantista, ma solo quello di un liberale che pone al centro del proprio interesse né schieramenti, né affetti e simpatie geopolitiche per saecula saeculorum, ma solo l’Uomo con le sue libertà naturali.

In effetti, la scomparsa del Presidente per noi ha significato un ripasso concentrato di realtà e soggetti che accompagnano la nostra quotidianità.

Da un’invertebrata dirigenza politica, ad una corazzata informazione che come cozze sugli scogli vive e prospera sul politicamente corretto con il totale disinteresse per chi sarebbe da informare. Ed ecco un vertice vaticano giorno dopo giorno sempre più sconcertante nella sua azione demolitrice di senso, comprensione e osservanza di una interiore spiritualità.

Ad ogni modo, proprio l’infinita elasticità vaticana potrebbe favorire la decisione papale di soprassedere alla regola dei necessari cinque anni dalla morte per consentire la beatificazione. In considerazione, allora, degli amichevoli rapporti il Pontefice potrebbe, a furor di stampa, concedere una beatificazione laica al Presidente Emerito.

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