Politica internazionale

Potere temporale e potere spirituale: dalla parola biblica ai nostri giorni. Una riflessione attraverso i millenni

Editoriale Yari Lepre Marrani

Potere temporale e potere religioso, per secoli indissolubilmente congiunti nell’espressione storica dei destini  d’Italia e d’Europa, sono stati, ad un tempo, protagonisti di laceranti conflitti e perpetue alleanze: tal’ora uniti, tal’altra ferocemente ostili l’un l’altro specialmente nelle contingenze storiche ove il potere spirituale  pretendeva di esercitare un assoluto dominio emotivo e politico sul potere temporale in virtù della propria alta missione mistica cui gli Stati o i Regni dovevano umilmente piegare spada e corona.

Che poi quella pretesa prerogativa religiosa trovasse origine anche in mire politico temporali del potere spirituale stesso, fatto tanto concreto quanto storicamente documentabile, ha spesso corroso i rapporti tra le due potestà quando quella temporale non volle più accettare l’egida dell’altra e, progressivamente, vicende politiche e sociali di gigantesca rilevanza storica non vennero a scombussolare precedenti sistemi e realtà storiche di millenaria durata. Un dato è rimasto costante: i due poteri, da amici o nemici, da alleati o avversari, trovano significato nei destini stessi dell’uomo e dell’estrinsecazione del suo ruolo di dominatore,appunto, temporale. Così, la consacrazione del potere temporale da parte del potere spirituale, conseguenza delle prerogative del secondo, ha segnato, nei secoli, se non una vera “soggezione” del potere politico a quello spirituale, sicuramente una presenza costantemente presente nella vita e nelle scelte politiche e militari dei rappresentanti il potere politico

Qui penetriamo nella spiegazione del significato simbolico di questi rapporti non solo dal punto di vista prettamente storico ma, soprattutto, mistico e per farlo dobbiamo dischiudere il nostro sguardo lontano, su tempi remoti e vastissimi, sulle categorie ancestrali dell’uomo. Dobbiamo scandagliare i millenni e tornare a centinaia di secoli prima di Cristo: esattamente attorno alla fine dell’XI secolo a.c. quando, negli ultimi suoi decenni, nacque il Regno d’Israele, protagonista assoluto delle pagine bibliche ed epilogo delle grandi, feroci ed eroiche lotte per la conquista di Canaan. Puntiamo il nostro pensiero sulla nascita di quel Regno, culmine di un resoconto biblico/storico che le Sacre Scritture hanno delineato tra leggende miracolose e scontri bellici decisivi ma che la Storia ha dovuto “ripulire” da elementi eccessivamente leggendari e folcloristici per cercare di riportare quell’avventura di conquista e affermazione politica e religiosa a quanto di più reale e autentico si cela dietro il racconto biblico. La catena che lega il potere temporale a quello spirituale è lunghissima e tutt’oggi non si è spezzata ma l’anello che lega antichità e modernità va ricercata nel secolo citato e in un eroe biblico che fu tanto versatile come uomo quanto poliedrico come mistico.

Prima di scriverne il nome occorre rievocare le circostanze storiche e religiose nelle quali quest’uomo agì, rilevando le precise congiunture tra la sua venuta e i suoi tempi. Il canone biblico, sia cattolico che ebraico, accetta dei testi come canonici e ne rifiuta altri; il canone ebraico chiama i testi non ammessi deuterocanonici. Torniamo ai primi libri dell’Antico Testamento: dopo il pentateuco(Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) troviamo il glorioso libro di Giosuè e, subito dopo, il libro dei Giudici. I’ XI secolo a.c  fu un periodo estremamente sanguinoso e turbolento perché vide, progressivamente, l’avanzare degli israeliti alla conquista di Canaan. Per decenni il potere tra le dodici tribù d’Israele fu gestito dai Giudici(i Sophetim), sei maggiori e sei minori, corrispondenti a dodici tribolazioni su Israele. I Giudici furono un’istituzione di carattere teocratico amministrata da individui ispirati da Jahweh che amministravano la giustizia ciascuno sotto la propria palma e il proprio fico. Finirono col divenire una potente magistratura sacerdotale che governò i conflitti privati o tra le dodici tribù sino a creare le basi per un potere teocratico che, da istituzione eccezionale e d’emergenza, declinò in istituzione permanente.

L’istituzione della giudicatura creò il potere teocratico su Israele ma le minacce esterne non solo  filistee aumentarono l’esigenza immediata di un governo militare unificato, d’ un potere più compaginato e  saldo per le dodici tribù, d’un sovrano unico che governasse sui giudei, mai come allora esposti ai pericoli di  aggressioni esterne, mai così necessitanti un governo forte, militarmente compatto, sintetizzato, per la  prima volta nella storia, nell’espressione “potere temporale”. L’esigenza storica finì per assorbire la  sacralità teocratica poiché i tempi furono maturi, l’incontro di Israele con il potere politico temporale non  poteva più essere rimandato. Fu allora che Jahweh e la Storia suscitarono dal grembo delle tribù quell’uomo che  segnò l’epocale passaggio e, con esso, il principio del rapporto controverso tra i due poteri. Quell’uomo era Samuele di Ramataim(Rama), cittadina a 13 km dall’umile tribù di Beniamino, quest’ultima così piccola, neutra da frenare le potenziali gelosie delle tribù israelitiche quando anche il primo dei Re, Saul, trovava origine nella tribù medesima. Samuele giunse sul palco della Storia d’Israele quando quest’ultimo vacillava nella fede e, forse per questo, non voleva più la teocrazia ma un potere militare e politico come vedeva avvenire per tutti gli altri popoli. Samuele fu l’ultimo e più illuminato e spirituale dei Giudici e visse quella fase di transizione dolorosamente ma anche consapevolmente. Figlio di Elqana e di Anna(il nome delle donne madri di coloro che sono santi prima ancora di nascere: Samuele, Maria), allevato ad un’austera disciplina ascetica fin da bambino dal debole sacerdote Eli nel santuario di Silo, sia la Bibbia che la Storia gli riconoscono quella personalità versatile che lo fece realmente “uomo d’emergenza”.

Nazireo convinto, ebbe fama di veggente cioè d’interprete di oracoli e profeta, uomo  venerabile e sacro nel senso più ieratico del termine perché fu uomo d’emergenza ma anche uomo del destino d’Israele: ultimo dei Giudici, capo militare ma soprattutto sacerdote e profeta, egli incarnò come nessun’altro tormenti, dubbi e intime lacerazioni religiose nell’evoluzione progressiva(e inevitabile) dalla teocrazia sacerdotale alla genesi del potere politico e militare unificato di Israele. L’incontro tra la parola biblica e l’analisi storica che, dalla prima, deve estrarre i fatti realmente accaduti rispetto alla leggende, può condurre a risultati contradditori perché le tradizioni ereditate sono sparse e contraddittorie. I dati certi: Samuele fu segnato, sin dalla nascita, dalla fede più ardente nel Dio unico e, da fervente Jahvista, fu il primo a soffrire profondamente le nuove, urgenti necessità politiche di Israele. Se Samuele operò per ridurre l’influenza sacerdotale a vantaggio dell’importanza dei profeti(veri successori dei Giudici nel’espressione mistica dei voleri di Dio), egli, pur essendo in primis sacerdote, riuscì a svolgere entrambi i ruoli e l’aura di sacralità e solenne ieraticità che circondò il suo nome sembra corrispondere a realtà: nonostante numerosi siano stati i tentativi di ridimensionare la sua figura, precise fonti storiche confermano  la sua grandezza.

Le necessità storiche non potevano più essere rimandate e la tradizione è chiara nel manifestare l’intimo dolore di Samuele perché egli, per primo, soffrì e impersonò l’eterno dramma tra il potere spirituale e quello temporale. Samuele considerò l’instaurazione della monarchia come una pericolosa tentazione, deviante per il suo popolo; il Re sarebbe divenuto un Assoluto umano in contrasto con l’Assoluto divino, la fede degli israeliti sarebbe vacillata innanzi ai due rappresentanti del Potere: l’umano e il divino. Ma l’appuntamento con la Storia più non poteva eludersi nella seconda metà del XI secolo a.c. . Gli anziani delle tribù compresero i tempi, si rivolsero all’uomo del momento e gli chiesero(o imposero) di sigillare la svolta storica non solo per Israele ma,simbolicamente, per tutto il mondo occidentale. Samuele accettò, nolente o volente, l’incontro con la Storia e prestò il suo nome a quel grande, nuovo sigillo: a Mizpa, in un giorno insigne, unse Saul primo Re d’Israele. Quella nomina, che a Samuele tanto ripugnava, suggellò il mutamento poichè essa fu realizzata dal rappresentante religioso più legittimato del tempo che pose la “Corona” sul capo del primo Re dei Giudei, determinando quella prerogativa spirituale che tanta parte avrà nei destino politico dell’occidente. Il rito della consacrazione fu il compromesso tra i due poteri che tanto successo avrà, nella catena dei secoli, anche per tutto il periodo cristiano secondo i nuovi insegnamenti di Cristo e San Paolo cioè che ogni potere terreno deve essere esercitato in seno e ossequio a Dio.

L’esempio forse più celebre di tale compromesso avvenne 1800 anni dopo l’incoronazione di Saul, nella notte di Natale di quell’800 d.c. quando Leone III, nella antica basilica di San Pietro in Vaticano, unse Carlo Magno imperatore del Sacro Romano Impero e così avverrà, in seguito, per tutti i suoi successori, dagli imperatori franchi ai germanici, dalla nascita del Sacro Romano Impero(800 d.c.) alla sua fine(1806 d.c.). Oggi, nella caleidoscopica realtà del mondo moderno, la consacrazione religiosa del potere secolare non esiste più: il potere politico italiano e europeo, laicizzato, non viene più simbolicamente “elargito” dal potere religioso. Presidenti, capi di governo, capi di Stato e qualunque autorità politica viene legittimata dal voto popolare e non più da una consacrazione religiosa. Ma se la Storia è maestra di vita e ha veicolato un messaggio spirituale impersonato, allora, dal rito della consacrazione, oggi possiamo trarne un insegnamento non solo ideale ma concreto. Trasfigurando l’antica consacrazione del potere terreno al rapporto dell’uomo con il potere politico oggi, nel 2023, possiamo estrarre il significato simbolico che ci lascia in eredità l’avventura dei due poteri, da Samuele in poi: ogni potestà politica deriva da Dio e nel suo ossequio deve essere esercitata, ogni potere è ipostasi di una volontà superiore che s’incarna, volta in volta, in un individuo o gruppo che esercitano un potere temporale.

L’antica prassi della consacrazione spirituale può consegnare al potere contemporaneo un lascito simbolico di non comune profondità, morale e divina a un tempo,un’eredità che solo può maturare nell’interiorità del rappresentante il potere politico oggi e la sua genesi non è più in un Samuele o in un Papa. Ogni persona investita di un potere politico, modesto o grande che sia, può “autoconsacrarsi” da sola nella volontà d’intenti, cosciente che il potere che ha conquistato non gli deriva solo dagli elettori ma da un destino supremo che egli deve considerare. I rappresentanti della politica potrebbero così percepire il proprio potere politico non solo come esercizio di una potestà ma come una missione concessa da una sorte precisa che ha nelle mani di Dio la sua ragione e il suo fine: è quell’autoconsapevolezza che dovrà nascere nella psiche del potente come un lume in cui credere, capace di essergli guida e luce nell’esercizio del potere stesso.

Imparando dal simbolismo religioso della Storia in rapporto al potere secolare, il politico contemporaneo depositario dei destini di una nazione sarà pervaso da questa fede che esula da qualsiasi appartenenza o confessione religiosa,percependo il proprio ruolo di potere come missione non solo generata dal voto popolare ma, più di tutto, da una volontà superiore. Così la catena della Storia che lega tutti i suoi invisibili anelli da Samuele in poi, trova, oggi, la sua perenne e inesausta verità d’intenti; così il passato remoto può attrarre e coinvolgere la psicologia più profonda di chi esercita poteri politici nel mondo contemporaneo in una nuova consapevolezza psichica che non richiede più unzioni e consacrazioni formali ma che si sviluppa nella maturità mentale di chi ricopre funzioni decisive per i destini del mondo.

Yari Lepre Marrani

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