Politica nazionale

Chiudiamo le scuole ai militari e all’Unione Europea

BARI – È notizia recente che il 7 agosto 2023 è stato siglato un nuovo protocollo d’intesa tra il Ministero dell’Istruzione e del Merito e la Marina Militare[1]. Il progetto formativo prevede “una maggiore interazione tra il mondo della formazione e il sistema del lavoro”, con l’obiettivo di promuovere “l’attivazione dei ‘percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento’ e l’acquisizione di competenze spendibili [nell’esercito italiano] nel mercato del lavoro da parte di studenti degli Istituti Tecnici – settore tecnologico, indirizzo trasporti e logistica, articolazioni, costruzione e conduzione del mezzo – e degli Istituti Professionali dell’indirizzo ‘Enogastronomia e ospitalità alberghiera’.”

In questo accordo – come in altri precedenti con l’Esercito e l’Aeronautica – l’obiettivo apparente riguarda l’acquisizione da parte degli studenti di competenze tecnico-professionali, nell’ambito della tutela dell’ambiente, della biodiversità e della salvaguardia del patrimonio marino e marittimo, “promuovendo la cultura del mare nei suoi vari aspetti”. Fin qui nulla di nuovo, nulla che possa essere emendabile.

Si evidenziano tuttavia alcune incongruenze e contraddizioni, che trapelano, al solito, da un utilizzo inconsapevole del linguaggio da parte di entrambi i soggetti firmatari. Al di là di qualsiasi approccio alla questione di natura antimilitarista – che non mi appartiene – le domande che pongo si basano sulla volontà di comprendere i significati impliciti nel linguaggio utilizzato e quali conseguenze comportino concretamente.

Salta agli occhi il “solito” linguaggio di tipo economicistico, che oramai pervade distruttivamente il mondo della scuola da decenni, in particolare dalla fine degli anni ’90. Le parole: “interazione”, “formazione”, “sistema”, “obiettivo”, “competenze”, “orientamento”, “spendibili”, “mercato”, “settore”, “indirizzo” fanno parte di un linguaggio che deriva da ambiti giuridico-economicistici, che rivelano un’ideologia materialistica di stampo marxista e che si fonda su un’interpretazione della storia secondo il principio per cui tutto l’agire umano è generato da motivazioni di natura economica. Si tratta di una visione assolutizzante, superata e parziale, che limita la comprensione della natura umana nel profondo della sua anima, riducendo l’essere umano a una mentalità “modernamente” primitiva. Il linguaggio del marketing, per intenderci, non avrebbe mai dovuto entrare nella scuola italiana.

A ciò si aggiunga il Molok del concetto del “Lavoro”, anch’esso ispirato a una visione economicistica della realtà. L’articolo 1 della Costituzione (non citerò gli articoli 34 e 35 per questione di spazio, ma che rispondono alla stessa “forma mentis”) recita quanto segue: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. […]” Anche in questo caso le buone intenzioni non mettono a nudo l’ovvietà principale: la “perfezione” della Costituzione, aspetto che rivela i limiti degli uomini che la scrissero, i quali dimostrarono grande presunzione nell’imporre agli uomini quello che devono fare. Il concetto del “Lavoro” è stato sacralizzato sin dal 1948, rendendolo di fatto una realtà “trascendente”, per la quale tutto è giustificabile. Durante alcuni percorsi di PCTO scolastici, ex alternanza scuola-lavoro, alcuni studenti sono morti nelle aziende in cui stavano svolgendo attività di stage lavorativo. Lo Stato non ha risarcito né ha chiesto scusa alle loro famiglie. Che senso ha affermare quindi che: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”? “l’Italia” chi? cosa? è una parola che in questo contesto linguistico è manifestamente astratta, irreale, lontanissima anni luce dalla realtà concreta. E cosa starebbe a significare: che se non ci fosse il lavoro la Repubblica sarebbe meno democratica? Quello che voglio dire è che sia la Costituzione, sia gli articoli dedicati all’idea del lavoro sono irreali perché rispecchiano certezze assolute, i cui effetti concreti sono drammatici. Far credere che il Lavoro sia la parte più importante dell’esistenza significa far credere che senza il lavoro non si è nessuno. Non esiste una statistica completa sulle persone che in Italia, dopo aver perso il lavoro, si sono suicidate, comprendendo fra questi anche gli imprenditori, soprattutto in questi ultimi due decenni di crisi economiche continue; e nonostante gli incidenti mortali degli studenti durante il PCTO appena citati, il Ministero dell’Istruzione e del Merito continua imperterrito nel proseguire su questa strada, senza il minimo ripensamento o dubbio: i PCTO proseguono a gonfie vele.

L’aver imposto da parte dei governanti nella scuola italiana il lavoro come obiettivo principale senza interpellare né docenti né genitori è quindi ancora più allarmante, sintomo di un processo che potrebbe nascondere una volontà di ingerenza da parte dello Stato in senso hegeliano. Già Nietzsche, nel suo libro: “Sull’avvenire delle nostre scuole”, e sull’onda delle conseguenze della filosofia di Hegel, nel passaggio ancora oggi dibattuto della trasposizione dalla teoria filosofica alla realtà, svela e denuncia l’esaltazione di una Prussia in cui la scuola doveva essere subordinata allo Stato. La ben famosa coscrizione militare generale estesa a tutti gli studenti (maschi, naturalmente), tanto da far loro indossare con orgoglio la divisa militare, da un lato, e l’esaltazione dello Stato nella scuola, dall’altro, portarono sì a una significativa riduzione dell’analfabetismo nella popolazione prussiana, ma portarono inevitabilmente all’appiattamento della conoscenza, a proposito della quale Nietzsche scrive che “si vede che quasi tutti hanno ricevuto nei licei una livellata cultura di Stato”[2].

Ironia di Nietzsche a parte, è evidente che negli ultimi anni qualcosa di simile si sta promuovendo anche nella scuola italiana, silenziosamente, indefettibilmente.

Un altro caposaldo, che ci proviene ancora una volta dalla Costituzione, di questo processo di trasformazione in atto nelle nostre scuole è il famoso articolo 34. Esso recita: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.” A ciò si aggiungano, in conseguenza delle “direttive europee”, l’art. 1 della 296 del 27/12/2006 e l’art. 1 della Legge 139 del 28/03/2007, grazie ai quali l’obbligo scolastico è passato da otto a dieci anni, obbligando i giovani dai 6 ai 16 anni a frequentare la scuola appassionatamente: una mostruosità.

Obbligare un ragazzo, una ragazza, nel pieno della loro giovinezza ad andare a scuola, è sempre un atto di una violenza inaudita; anche perché contraddice il principio del piacere, su cui si fonda lo stesso processo cognitivo: se non ci si diverte nella fase dell’apprendimento, viene meno la motivazione allo studio. Ricordo sempre con commozione e con un sorriso amaro le parole meravigliose di Giovanni Papini nel suo breve scritto: “Chiudiamo le scuole”[3], come un inno alla libertà, all’intelligenza, all’amore per i giovani, un amore sincero, appassionato e sofferente. Ogni docente dovrebbe leggerlo, possibilmente ricordarlo a memoria o, quanto meno, rileggerlo spesso e recitarlo in classe.

Ma la domanda resta: cosa c’entrano i militari con la scuola italiana di oggi? Ebbene, così come nel gioco enigmistico, in cui si “riempie” lo spazio coi punti, solo alla fine si riesce a ricavare dalla trama che ne viene fuori la figura “nascosta”. Bisogna conoscere bene ciò che è avvenuto nella scuola negli ultimi due decenni, a iniziare soprattutto dal momento in cui la scuola italiana ha cominciato a obbedire ciecamente alle direttive europee. La parola “trasversale” fiocca sistematicamente da allora, anche nelle “competenze” riguardanti il PCTO, parola grazie alla quale è stato possibile modificare materie e programmi, anche metodo di studio nelle nostre scuole. Una delle novità introdotte a gran cassa e con rullo di tamburi è stato l’insegnamento di una materia puntualmente “trasversale”: l’Educazione Civica. Una materia che esisteva già tanti anni fa ed era presente nelle scuole medie, con tanto di docente di materia. Una materia poi “scomparsa”, che è ricomparsa soltanto negli ultimi anni in una forma “curiosa” e introdotta nelle scuole medie superiori secondarie, che non vede più il docente di materia singolo ma un docente che “prende a prestito” le ore da altri colleghi di altre materie svolgendo attività curriculare in codocenza e mette un voto unico … “trasversalmente”, naturalmente raccogliendo le proposte di voto dei docenti curriculari su cui si appoggia per l’insegnamento degli argomenti relativi all’Educazione Civica. Ma cosa si insegna in queste due ore settimanali, ci potremmo chiedere? Si insegna la Costituzione italiana? …. Inizialmente sì, ma attualmente poco e niente, oramai. Si insegnano, invece, quelli che sono i paradigmi del Parlamento europeo e della Commissione europea. Chiedetelo ai vostri figli. Informatevi. Verificate. Genitori dei nostri studenti, siate vigili.

È in questo passaggio che negli ultimi anni si sono rifatte vive le Forze Armate nella nostra scuola in maniera più massiccia. Cosa abbiamo di fronte a noi? Abbiamo un indottrinamento ideologico-europeista, con i suoi fini sempre meno chiari da parte dello Stato; abbiamo il conseguente allontanamento dall’identità nazionale – a partire da una Costituzione italiana mal fatta sin dal 1948 – grazie anche all’insegnamento della materia di Educazione Civica con il metodo “trasversale” appena descritto. È così che nella scuola italiana si stanno indottrinando i nostri figli, riducendo anche le ore di Storia e Storia dell’Arte – la nostra identità culturale e artistica; di matematica – l’uso della logica; di Letteratura italiana – la lingua che parliamo, la nostra struttura di pensiero, tutto ciò che rende intelligente e capace un Italiano che faticosamente sta maturando la consapevolezza della propria identità culturale e di patria. Il fine non consiste più, dunque, nell’indottrinamento attraverso la propaganda militar-nazionalistica di un popolo, come avvenne nella Prussia della seconda metà dell’Ottocento, ma di un popolo che deve essere indottrinato in funzione di deliranti – perché irrealizzabili – “valori” europeisti, ideologicamente e militarmente, valori e principi ancora più irreali di quelli della nostra Costituzione e che possiamo sintetizzare in una specie di militarismo internazionalista che costituirà la base del futuro esercito e della polizia europei. Tutto questo grazie ai nostri governanti, nelle nostre scuole, che da un governo all’altro – non fa differenza il “colore” – imperterriti e ineffabili proseguono verso un unico obiettivo: farci dimenticare chi siamo.

Raffaello Volpe

[1]  https://www.tecnicadellascuola.it/accordo-ministero-marina-militare-noms-docenti-e-consigli-distituto-non-devono-accettarlo-e-lavoro-o-reclutamento

[2]  Friedrich Nietzsche, Sull’avvenire delle nostre scuole, Adelphi, sesta ediz. 2006 Milano, pag. 78

[3]  Giovanni Papini, Chiudiamo le scuole, Vallecchi – Editore, Firenze, 1919 (chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.pedro.it/webs/millelireonline.it/e-book/Chiudiamo%20le%20scuole.pdf)

One thought on “Chiudiamo le scuole ai militari e all’Unione Europea

  1. L’articolo è argomentato in modo colto e condivisibile. La squalificazione della scuola pubblica, versata a fini militaristici mediante una burocrazia restrittiva di ogni libertà morale e intellettuale, è misurabile dalla indotta incapacità degli studenti di formulare un pensiero autonomo o complesso. Ho avversato personalmente le dirigenze oscurantiste della scuola in cui ho insegnato a rischio della mia carriera. Adesso addirittura sarei stato sospeso per l’esercizio arbitrario della personale opinione, non più consentita in uno Stato in cui la democrazia è fortemente minata nel sillogismo imperniato sul lavoro, come controbattuto efficacemente in questo testo.
    Pur concordando sui limiti dell’attuale Costituzione Italiana, la ritengo ancora un baluardo fondante in antitesi alla minaccia della cupola europeista, che ci sta amministrando dispoticamente.

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