Al Meeting ribaditi concetti chiave del vivere sociale: “Le persone al centro (non l’algoritmo)
La democrazia? Si fonda sul lavoro». L’affondo sulla situazione nelle carceri: «Scarsissime opportunità per i detenuti. Il lavoro carcerario è uno strumento di redenzione, non di espiazione della pena»
Il diritto al lavoro è ancora disatteso, soprattutto quello delle categorie più fragili. I diritti costituzionali debbono essere rispettati da tutti i tipi di contratto, anche quando il vincolo di subordinazione è abilmente camuffato. La gig economy è un ritorno al futuro: presenta dei rischi simili a quelli creati dal taylorismo della rivoluzione industriale e oggi come allora bisogna «proporre regole democratiche, garantire libertà ed eguaglianza». La presidente della Corte Costituzionale, Silvana Sciarra, ha voluto parlare soprattutto ai giovani del Meeting di Rimini, ieri mattina, nella convinzione, neppur troppo dissimulata, che il lavoro è diventato un’emergenza democratica, da cui si potrà uscire utilizzando due timoni – eguaglianza e ragionevolezza –, a patto però che «le due mani che li controllano siano condotte da una stessa mente». La presidente ha premesso di parlare a titolo personale, ma a Rimini ha messo dei paletti talmente fissi che, anche se non faranno giurisprudenza, sicuramente chiariranno da che parte sta la Consulta su molte questioni calde. Ha iniziato passando in rassegna tutte le zone d’ombra del diritto del lavoro, partendo da quelle che obliterano il diritto al lavoro: «Nel vertice sociale europeo che si è tenuto a Porto nel 2021 – ha ricordato – si è dovuto ammettere che continuano a mancare forme di inclusione sociale per i più fragili, per i disoccupati di lungo periodo, per quanti hanno una bassa qualifica professionale, per chi lavora con contratti non standard. Ancora più drammatica la condizione dei detenuti, cui si offrono scarsissime opportunità formative e lavorative. Del lavoro carcerario la Corte ha detto in una sentenza che è strumento di “redenzione”, non di “espiazione della pena”, ma è un metodo di trattamento. La tutela della dignità è dovuta per chi è privato della libertà». Neppur sfiorato il tema del salario ed appena accennato quello della contrattazione, il discorso ha investito in pieno la dimensione personale del diritto, particolarmente in un momento in cui il cambiamento del mercato del lavoro mette a dura prova l’applicazione dei principi costituzionali nelle diverse forme di rapporto lavorativo. «Il diritto del lavoro, e con esso l’azione dei soggetti collettivi, si propongono di convertire via via le tutele, orientandole verso mutevoli formule organizzative.
In questo processo modulare di nuova sistemazione della disciplina, i lavoratori in quanto persone devono poter accedere ai diritti fondamentali, sia individuali sia collettivi, indipendentemente dal tipo di contratto che stipulano con il datore di lavoro» ha osservato. Il problema non riguarda solo la condizione, sempre più debole, del lavoratore subordinato, ma investe anche la metamorfosi del datore di lavoro, che non è più una controparte personale: quando il “padrone” è una piattaforma informatica e lo smart working sancisce anche un “distanziamento contrattuale”, si possono avere «nuove forme di alienazione, se non di marginalizzazione sociale». Per Sciarra anche questi lavori devono restare al cuore della democrazia ed infatti, ha ricordato, «una proposta di direttiva interviene sul lavoro tramite piattaforme digitali e suggerisce di spostare sul datore di lavoro l’onere di provare l’inesistenza di un vincolo di subordinazione».
Anche nella gig economy è possibile, ha commentato, attingere alle tecniche di tutela tradizionalmente adottate «per correggere la posizione di debolezza del lavoratore nel contratto di lavoro». Su questo fronte si è mossa la Cassazione nel 2020 per tutelare i riders e superare le innovazioni delle piattaforme, che attraverso una nuova dislocazione spaziale creano disparità di trattamenti salariali, se non vere e proprie discriminazioni. «Le reazioni delle corti nazionali, che si stanno orientando verso il riconoscimento della natura subordinata delle prestazioni offerte tramite piattaforme, specialmente con riferimento ai riders, aprono la strada all’intervento della contrattazione collettiva, che comincia a diffondersi anche in queste realtà» sottolinea la presidente. «Tutto questo – ha detto – ci porta a riflettere non solo sulle occasioni di progressiva estensione delle tutele, ma anche sull’opportunità che emerga una nuova normalità della subordinazione digitale, improntata a una flessibilità controllata, corredata di strumenti per l’inclusione e per la formazione professionale continua, ispirata al rispetto dei principi di libertà ed eguaglianza e soprattutto capace di combattere ogni forma di discriminazione, nascosta dietro la solo apparente neutralità degli algoritmi».
La presidente si è soffermata dunque sul ruolo dell’intelligenza artificiale, oggetto di una recente Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, «che descrive un modello di “innovazione responsabile”, necessariamente restrittivo di alcune libertà – la libertà d’impresa, delle arti e delle scienze, secondo un rigoroso criterio di proporzionalità – per assicurare la protezione dei diritti fondamentali, fra tutti la salute e la sicurezza. Sui fornitori di IA incombe l’obbligo di informare le autorità nazionali competenti in merito a incidenti che tale protezione possono mettere in pericolo. Si tratta dunque di instaurare un capillare sistema di monitoraggio a livello nazionale e a livello europeo, attraverso la creazione da parte della Commissione di una banca dati per sistemi di IA ad alto rischio che presentano implicazioni in relazione ai diritti fondamentali».
Marcario Giacomo
Editorialista de Il Corriere Nazionale