“Celesti occhi ha la morte”
Sull’immigrazione è stato detto tanto, di tutto, ma in pochi hanno posto l’attenzione su quelli che sono i veri significati in conflitto fra loro, scatenati non tanto dalla realtà migratoria in quanto tale – che è solo un “effetto”, non la “causa” – quanto piuttosto dalla retorica che l’ha esaltata, permessa, implicitamente incoraggiata e esplicitamente foraggiata.
Si pensi alle ONG, le cui azioni se da un lato sembrano essere di carattere “umanitario”, dall’altro sappiamo bene che il loro comportamento va ben oltre il legittimo. Adesso sappiamo chi le finanzia, la Germania, e solo su questo ci sarebbe da riflettere. Si pensi alle parole di Celan: “Celesti occhi ha la morte è maestra è nata in Germania”[1], da cui traspare la consapevolezza che la Germania è stata sempre all’origine dei conflitti più gravi della Storia dell’Occidente. La “tedeschità” consiste nella convinzione che l’umanità non sia un concetto estensibile a tutti i popoli ma che sia stretto appannaggio dei soli Tedeschi. Rimando al libro di Ida Magli: “Dopo l’Occidente”[2], inascoltate parole, per approfondire la questione. A noi sarà sufficiente la considerazione che il termine “umanità” deriva dalla parola “humus”, “terra”; in altre parole, dalla pietà che l’Uomo ha iniziato a provare di fronte al corpo dei propri cari quando muoiono, coprendoli di “terra” per evitare di assistere allo scempio della decomposizione del cadavere.
La “tedeschità”, nell’affermare che l’umanità “appartiene” al solo popolo tedesco, rivela una assolutizzazione del concetto stesso di “pietà” di fronte alla fine dell’esistenza, facendo venir meno il senso primario di questa semplice “parola”, di per sé bellissima, che da sempre testimonia dell’odio dell’Uomo verso la Morte, e che, per costituzione di “senso”, è all’origine della Bellezza, delle Arti; una parola dal senso ancestrale e meraviglioso, visto che ora sappiamo con certezza che l’Homo naledi iniziò a seppellire i propri simili più di 200.000 anni fa.
La domanda che quindi ci poniamo è per quale motivo la Germania sostenga l’immigrazione, creando le premesse di conflitti che si riveleranno fatali per l’Europa e per tutto l’Occidente. Dobbiamo innanzi tutto partire dal concetto di “cultura” in antropologia per comprendere per quale motivo l’immigrazione sia fonte di pericolo. La sua definizione fu data per la prima volta nel 1871 dall’antropologo britannico Tylor[3], il quale scrisse che il modello culturale è “un insieme complesso di costumi, di abitudini, di valori, di credenze, di tecniche in equilibrio stabile fra loro”.
La “cultura”, quindi, per l’antropologo che la studia, non è soltanto un insieme di moduli “folkloristici” o comportamenti “bizzarri” da sommare ma è un “insieme complesso”, i cui tratti vanno analizzati e compresi mettendoli in stretta relazione fra loro. Si pensi al modello culturale come a una rete di significati gerarchicamente ordinati e interrelati; e che questa “rete” è alla base di ogni singola cultura, come la ragnatela è l’abitazione del ragno. I suoi filamenti – ogni singolo tratto culturale – vibrano non solo singolarmente, una volta “sfiorati”, ma fanno vibrare l’intera struttura; e nessuna “ragnatela” è identica all’altra, nessuna ragnatela è sovrapponibile, se non creando contraddizioni che inevitabilmente sfoceranno in conflitti insanabili. Non a caso Tylor inserì le parole “equilibrio stabile” nella sua definizione, un equilibrio che può divenire “instabile”. L’immigrazione nei paesi europei ha creato le premesse di un conflitto pericolosissimo: in Europa, quindi su uno stesso territorio, vivono popolazioni le cui culture di appartenenza non possono coabitare, se non “risolvendo” le contraddizioni culturali attraverso conflitti: che già sono sotto i nostri occhi da tempo oramai, in particolar modo da quando esiste l’Unione europea, che ha eliminato i confini territoriali. Le culture sono importanti perché “spiegano” la morte attraverso la religione; per questo le religioni sono fondative della vita stessa di un popolo. L’Uomo è un animale che usa la logica, pertanto non sopporta le contraddizioni, soprattutto quando dà un senso alla propria vita. E ciò che vale per ogni individuo, vale per ogni singola cultura: è la “spiegazione” simbolica della morte a dare un senso alla vita. Le religioni saranno il vero terreno di scontro dei popoli che oggi si trovano in Europa.
Sappiamo bene che chi governa le fila dell’Unione europea è la Germania, quindi il dato che dietro le ONG vi sia lei è in un certo senso “coerente”. Ma il vero “vulnus” ideologico alla base della creazione dell’Unione europea è il concetto illuministico di “uguaglianza”, che la Germania ha fatto proprio, un concetto tanto meraviglioso quanto irrealizzabile: siamo tutti “uguali”? Per la Germania si, va da sé che tutti gli altri popoli debbano adeguarsi a quella umanità portata come modello dai Tedeschi e di cui ho spiegato il senso in apertura di articolo: la “tedeschità” deve rimanere l’unico modello valido. Sull’uguaglianza si potrebbe aprire un capitolo che in questa sede non è possibile affrontare. Mi limiterò a ricordare che il concetto di “uguaglianza” sottende inevitabilmente quello del “diverso”, l’altro-da-me, dal cui confronto è possibile capire chi siamo attraverso le differenze: ma ognuno da “casa” propria, senza invadere la casa di nessuno. Il mito greco di Narciso, da cui deriva l’idea di “riflessione”, “flettersi, piegarsi su sé stessi”, capire chi siamo, è tornato prepotentemente alla ribalta. Per gli antichi Greci “specchiarsi” equivaleva a morire, per gli dei greci l’Uomo non doveva “capire” chi fosse, l’Uomo greco non aveva speranze di fronte alla morte: Narciso, specchiandosi, annega nel ruscello. E così aggiungiamo un altro tassello al mosaico chiamato “Germania”: ancora oggi i Tedeschi amano definirsi come coloro che hanno ereditato lo spirito dell’antica Grecia. Tutti i grandi intellettuali tedeschi si sono ispirati alla Grecia: pour amante dei Romani, il mite Goethe, Winckelmann, il lungimirante Nietzsche, e tanti altri.
Quindi, con la Germania che paternalisticamente ci ha presi per mano, siamo tornati al tempo senza tempo del mito di Narciso che, guardando la propria immagine ri-flessa nel torrente, se ne innamora, cade in acqua e annega, triste metafora dei tempi che stiamo vivendo. Si afferma di essere “tutti uguali perché siamo stanchi di cercarci nelle differenze, le uniche che ci permettevano di credere che dietro l’immagine [ri-flessa] ci fosse una realtà.” [4]
Dunque, il principio di realtà è venuto meno. La Germania ci sta traghettando verso la fine dell’Occidente. Il conflitto in Ucraina è solo il pròdromo di una escalation che non sarà più possibile arrestare.
Raffaello Volpe
[1] Paul Celan, Poesie, Mondadori, Milano 1976.
[2] Ida Magli, Dopo l’Occidente, RCS Rizzoli, Milano 2012
[3] Edward Burnett Tylor, Primitive Culture: Researches into the Development of Mythology, Philosophy, Religion, Language, Art and Custom, 1871, J.Murray, London; traduzione italiana Alle origini della cultura, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1985
[4] Ida Magli, Viaggio intorno all’uomo bianco, RCS Rizzoli, Milano 1986.