Reportage su Catania a cura del Critico d’arte Melinda Miceli
Catania, disposta tra lo Ionio e le pendici dell’Etna, ha sempre vissuto in stretto rapporto con il vulcano. Il paesaggio urbano appare oggi al visitatore accorto come avvolto in uno stile nuovo e omogeneo che caratterizza il barocco catanese colto e spettacolare dal punto dì vista urbanistico e architettonico, nato dopo il terremoto del 1693.
Le strade larghe e dritte, dalla maglia ad angoli retti; i palazzi e le chiese uniformi per stile, decorazioni e materiali; l’impianto scenografico di luoghi come la piazza del Duomo furono ricostruiti sotto la supervisione del vicario generale per il Val di Noto Giuseppe Lanza duca di Camastra nominato dal viceré Giovan Francesco Paceco duca di Uzeda. Dopo la realizzazione della dritta via Etnea, che da nord a sud collegava virtualmente all’Etna la Porta Uzeda, aperta presso il Duomo, di via Sangiuliano (ex strada dei quattro cantoni), la intersecava ad angolo retto, formando con essa i quattro canti, il tracciato di via Garibaldi in asse con la facciata del duomo, l’abate Gian Battista Vaccarini, curò in particolare l’inserimento degli edifici nel contesto urbano, lasciando il segno più netto nel fervore della ricostruzione che mise in moto l’economia. Un’esperienza preziosa anche per gli architetti, Alonzo di Benedetto e Francesco Battaglia, Girolamo Palazzotto da Messina che operarono a Catania.
Nato a Palermo nel 1702, dopo essere stato allievo a Roma dell’Accademia di San Luca e di Carlo Fontana a Roma, dove aveva conosciuto Vanvitelli ed approfondito le opere di Bernini e di Borromini, giovanissimo si rese noto per i suoi strumenti idraulici e matematici, per cui il senato di Palermo lo chiamò “architetto primario”. Vestito l’abito sacerdotale passò a Roma, come lo Juvara, sotto la protezione del cardinale Ottoboni. Fu chiamato a Catania dal vescovo Galletti, quando aveva ventisette anni, per partecipare alla ricostruzione della città distrutta dal terribile terremoto dell’11 gennaio 1693. Nel 1730 fu nominato Soprintendente dell’Università, nel ’35 gli venne concessa la cittadinanza onoraria. Con i suoi progetti della cattedrale rapidamente assunse il comando della fervida risurrezione della città, restituendo ordine e ritmo classici alla prorompente architettura popolare.
A differenza dello Juvara, l’esperienza romana lo manterrà vicino all’architettura berniniana. Il barocco vaccariniano è rielaborazione colta delle forme e del ritmo classici, insieme all’uso dei materiali e degli stilemi del repertorio tradizionale catanese. Il Vaccarini è portatore di un barocco meno ampolloso di quello di altri architetti, un barocco sobrio ed in pari tempo “classico-fiammeggiante”. Via Crociferi è ricca di siffatto barocco e Villa Cerami che chiude con l’arco del suo portale tale via, è partecipe del gusto e della finezza di quello stile, contenuto e ridente.
Nella fervida operosità dell’artista andarono sempre più identificandosi due caratteri: uno che risente di influenze locali, per cui le originarie visioni romane si vanno sempre più colorando attraverso il riflesso delle incombenti bellezze naturali, vivacissime, e delle remote, ma sempre presenti, tradizioni, delle quali le materie costruttive naturali – la dura e nera lava, la tenera e bianca pietra calcare – sono come i veicoli; l’altro, proveniente da un più vasto clima avente per centro la Roma papale, per cui il Vaccarini insieme agli architetti Fuga, Galilei, Salvi e Vanvitelli , amplia e conclude quel ripristino classico sopraggiunto tardivamente nello genio dello Juvara.
Il Fichera, architetto degli anni trenta, così scrive di Vaccarini: “Egli aveva il segreto del ritmo, un dono che Dio offre ai grandi architetti ed ai grandi musicisti ed ancora: Con Vaccarini si rinnovò il miracolo italiano, per cui ciascuna delle cento città nostre ha una sua figura ed un suo privilegio: Firenze ha quello di rappresentare il Rinascimento, Catania il Barocco”. A trentun’anni gli fu assegnato il prospetto della Cattedrale di Catania con il compito di restaurarlo, inserendovi le colonne marmoree dell’Odeon greco e del Circo romano. Innumerevoli sono le opere che ci ha lasciato, ma il suo capolavoro è la Chiesa della Badìa di Sant’Agata, adiacente alla cattedrale (1735), dove l’architetto svolse con originalità alcuni spunti borrominiani da Sant’Agnese in Agone, evidenti nella pianta centrale sormontata da un’alta cupola e nella delicata fronte.
La facciata interessata da un’ alternanza di superfici concave e convesse, è dominata da un portale di stile tardo rinascimentale caratterizzato da elementi decorativi tipici dell’arte catanese come le palme, i gigli e le corone, che sono anche i simboli di Sant’Agata che riempiono i capitelli legati strutturalmente attraverso statue, cornici e balaustre. Proprio la finezza dei dettagli (cornici, balaustre, finestre) fu una caratteristica sempre presente nelle sue opere, anch’essa derivata dall’educazione romana dell’architetto. La Fontana dell’Elefante realizzata tra il 1735 e il 1737 dal Vaccarini e collocata al centro della Piazza Duomo di Catania, pare ispirata all’Obelisco della Minerva di Gian Lorenzo Bernini. Il suo elemento principale è una statua di basalto nero che raffigura un elefante, chiamato u Liotru e considerato l’emblema della città siciliana. L’elefante, oggi rivolto con la proboscide verso la Cattedrale di Sant’Agata, secondo il geografo arabo Idrisi, probabilmente di fattura bizantina, è il simbolo della sconfitta dei cartaginesi venuti a conquistare la città a cavallo degli enormi pachidermi.
Sul basamento della vasca due sculture riproducono i fiumi di Catania, il Simeto e l’Amenano. Sulla schiena dell’animale si trova un obelisco egittizzante, alto 3,66 metri, in granito, ipoteticamente di Syene; non ha geroglifici, ma è decorato da figure di stile egizio che non costituiscono una scrittura geroglifica di senso compiuto. Sulla parte sommitale dell’obelisco sono stati montati un globo, circondato da una corona di una foglia di palma (rappresentante il martirio) e di un ramo di gigli. I pezzi che la compongono appartengono a diverse culture e concetti: l’elefante, l’obelisco, l’acqua del sotterraneo fiume Amenano, gli emblemi del culto cristiano della martire Agata. L’obelisco egizio, in granito, era in origine forse una meta del Circo Massimo e reca una iscrizione che lo collega al culto di Iside, molto diffuso nella Catania pagana. Analizzandolo, si puo’ ripercorrere la storia della città e la complessità culturale del barocco Vaccariniano.
La chiesa di Sangiuliano in via Crociferi, capolavoro del Vaccarini, fu edificata tra il 1738 ed il 1760 è situata di fronte San Francesco Borgia ed è attigua al convento di San Giuliano. La facciata, dai chiaroscuri marcati, è sormontata da un tiburio ottagonale coronato da una merlatura. Il tiburio cela una volta e non una cupola come accade per tale tipologia. L’illusione era, infatti, uno dei tipici temi barocchi, tesi a creare spazi scenografici e a stupire per attrarre lo spettatore. Un movimento convesso al centro coinvolge il prospetto, su cui si aprono fittizi accessi alle navate laterali. Le fruttiere in cima ad i pilastri sono una decorazione tipica del maestro.
Due statue di figure femminili sono posate sul frontone spezzato. L’interno a pianta ellittica come la gemella chiesa di Santa Chiara, dove domina una solare luce dorata, l’uso della bicromia nell’altare, creata dal gioco di agate e lapislazzuli che mostra la raffinatezza del gusto dell’architetto. Il Palazzo dell’Università che si apre sull’omonima e luminosa Piazza con il cortile circondato da un elegantissimo porticato a due piani fu disegnato dal Vaccarini. (1730), è molto elegante, circondato da due ordini di logge sotto cui, da secoli, animatamente discutono e passeggiando gli studenti. Fu ricostruito tra i primi all’indomani del disastroso terremoto del 1693, il palazzo dell’Almo Studio in posizione di grande prestigio: al centro di una piazza disegnata e ritagliata all’inizio della via principale e accanto alla Piazza del Duomo.
Intervenne anche sul palazzo Municipale detto degli Elefanti nel 1735 rivoluzionandone il prospetto, facendo seguire alla pesante facciata in bugne diamantate dal piano terra una facciata divisa da lesene piatte, che scandiscono lo spazio, mettendo in evidenza le finestre, che spingono lo sguardo verso il balcone, sostenuto da quattro colonne e sormontato da due gruppi scultorei, tra cui è si staglia lo stemma della città. Decise inoltre di adornare i frontoni dei balconi con la lettera “A”, iniziale del nome della Santa, e con tanti elefanti scolpiti, dai quali deriva il nome al Palazzo. Ancora su corso Vittorio Emanuele realizzò i Palazzi Valle e Serravalle; realizzò ancora la corte circolare interna, che si eleva per tre piani di Collegio Cutelli, Casa Vaccarini, la biblioteca del Monastero dei benedettini e la Badìa delle monache di San Benedetto. Anche il Santuario di Sant’Agata al Carcere costruita su ciò che resta del bastione del Santo Carcere, appartenente alle mura di Carlo V del XVI secolo, luogo dove secondo la tradizione venne tenuta prigioniera sant’Agata prima di subire il martirio.
Presenta una facciata, su un originale disegno di Giovan Battista Vaccarini, che contempla lo stile barocco siciliano con l’inserimento dell’antico portale strombato, in stile romanico, recuperato dalla cattedrale, unico esemplare in Sicilia dello stile Romanico Pugliese.
Lascia Catania nel 1749, chiamato a Palermo dal vicerè de la Viefuille. Muore a Milazzo, dove era stato investito dell’abbazia, nel 1768.
Melinda Miceli Scrittrice e Critico d’arte