La Resurrezione di Cristo e tutti i crocifissi del mondo
La Pasqua porta con sé le lacrime dolorose del Venerdì Santo ed incorpora i crocifissi del mondo. Il Risorto appare ai discepoli con i segni della croce.
Nel Credo si professa che Gesù è sceso negli inferi. Gli inferni delle guerre, dei popoli che vedono i loro figli morire di fame, dei luoghi di morte, dei fondali del Mediterraneo e dei valichi freddi divenuti cimiteri di esseri umani. Papa Francesco dal Vangelo della Passione ha fatto suo il grido dei crocifissi di oggi, quello della croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Il grido non va dimenticato se vogliamo che la Pasqua non rimanga la festa del sepolcro vuoto.
Gesù risorto ci scuote dalla rassegnazione al male e alla morte ed alla assuefazione pigra. A Pasqua, infatti, non festeggiamo Colui che si è messo in salvo da solo, abbandonandoci al nostro destino. Gesù non ha salvato sé stesso, ultima tentazione, urlata da tanti complici del male. Ha rifiutato di farlo. È morto – com’è vissuto – spendendo la vita per gli altri: non per salvarsi, ma per salvare, perdendo sé stesso per non restare solo. La Pasqua realizza la vita di Gesù in mezzo agli uomini: non ha mai chiuso il cuore al grido di poveri, deboli, malati, ciechi, storpi, peccatori. Li ascoltava e li amava.
E li guariva, non solo nel cuore, ma anche nel corpo. I sapienti (di qualunque genere, che non mancano mai, hanno sempre ragione e pensano di spiegare tutto) consolano dicendo che bisogna farsi una ragione del male o riempiono di modi per garantirsi un benessere individuale. No, non dobbiamo accettarlo. L’acquiescenza al male non si deve trasformare in ideologia, come avviene purtroppo, tanto da divenire scuola per i più giovani. La Pasqua è liberazione dal male e ci chiede di continuare a riscattare la vita dei prigionieri.
Adesso. La nostra Chiesa – com’è giusto – deve prendere la forma del suo popolo. Ma è urgente una intelligenza pasquale delle Scritture. Così possiamo sentire anche noi – come l’apostolo Paolo recalcitrante di fronte alla complessa città di Corinto – la voce di Dio: «Non aver paura; continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città [in questo Paese, l’Italia!] io ho un popolo numeroso» (At 18, 9-10). C’è un popolo più ricettivo; più di quanto ci immaginiamo. Stiamo facendo il cammino di una Chiesa sinodale, ma non camminiamo per muoverci.
C’è una meta: un popolo numeroso da far emergere dalla rassegnazione, dalla paura, dalla lontananza dal Vangelo. Possiamo far nostro il sogno di Paolo, che è quello di Dio.
Il cuore di ogni cosa, ordinaria o straordinaria, dovrà essere il Vangelo di Pasqua. Lasciamoci guidare dall’angelo della Pasqua che disse alle due donne: «Non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto… Presto, andate a dire ai suoi discepoli: è risorto dai morti, ed ecco vi precede in Galilea; là lo vedrete» (Mt 28,5-7). Preoccupati e piangenti, come le donne al sepolcro, ci volgiamo facilmente al passato, magari per compiere il nostro dovere. Tendenzialmente ci volgiamo indietro, anche accettando un senso del declino. Ma l’angelo ci rivela il futuro: Gesù ci precede in Galilea.
La Chiesa non è una tomba vuota che custodisce il corpo di Gesù. Ma vive il futuro nell’incontro con Lui in Galilea. A questo dobbiamo orientarci e orientare tutto. Tanti lo aspettano. Ascoltiamo l’angelo di Pasqua! Nulla è impossibile a chi crede.
Marcario Giacomo
Editorialista del Corriere Nazionale