Anomico, apolide, narcotizzato, cittadino di un mondo che non c’è
di Vincenzo Olita*
Milano, Colonne di San Lorenzo ore 22,30, per recuperare la macchina mi avvio, a passo lento, in una stradina affollata da allegri commensali, irritanti per le inconcludenti ilarità, fastidiosi ancor più per la mia malinconia. Qualche passo in là, su un rialzo in marmo alquanto accentuato, una figura comodamente distesa mi apostrofa: “Un Euro, una sigaretta?“ Proseguo, in tempo per riflettere, ci mancava pure questo, che mi arriva “Pirla, sei sordo come una tapa?” Una rabbia composta, mista a curiosità, sopravanza la malinconia e grido “ma ti sono dovuti? Li devo a chi mi aggrada.
E lui: “E come fai se non mi guardi neppure?”
Forse aveva ragione. Chiedo: “Che significa tapa?” Inizia così il confronto, ho compreso la sua intelligente osservazione e lo stimolo a parlarmi della sua esistenza a fronte di trenta euro che ho in tasca. Si aprono le cataratte: ”Sono un pezzente, sniffo coca, ma non vado con gli uomini… Aveva frainteso, lo lascio svuotare e poi chiarisco di essere un uomo antico, un cattolico legato al Concilio di Trento e via così. Scopro di avere innanzi un venticinquenne colto, conosce Lutero e il Concilio Tridentino, laurea in filosofia e così via. È in quella condizione per cause familiari che sorvoliamo.
Disprezza profondamente la società occidentale, il suo vuoto, la sua incertezza, il suo regresso culturale il cui isolamento soffre l’assenza di tensione etica, di visioni e disegni sul futuro delle dirigenze occidentali. Molte energie vitali non utilizzate si frantumano nel più coriaceo individualismo, con passione cerca di trasmettermi il dramma della solitudine, al di là degli atteggiamenti modaioli, sofferta dai nostri giovani. Gli chiedo: “La politica?” “Inesistente, i suoi messaggi cadono nell’indifferenza, scorrono con la stessa monotonia dell’acqua sotto i ponti” – penetrante espressione, la farò mia. Mi parla della zona in cui siamo dove tutto luccica ma poco è vero, come è vicino a quel verso di Gaber “Tutto è falso il falso è tutto”.
Poi della Stazione Centrale, ormai impraticabile anche per i barboni bianchi, piazza e commerci sono esclusività dei neri.
Mi parla con l’oculatezza e la scrupolosità più di un sociologo meno di quelle un filosofo. Cerco di sintonizzarmi con i suoi ragionamenti ricordando che la realtà, per Albert Einstein, è pura illusione, sebbene un’illusione persistente. Con più avvedutezza mi risponde con Schopenhauer e del fenomeno come rappresentazione che sussiste nella nostra coscienza come illusione e sogno così come ebbe a scrivere “Il mondo è la mia rappresentazione”.
Altro che barbone! Un clochard esistenzialista.
E allora, avanti con uno scambio dialettico senza sofismi né prevaricazioni. Abbiamo camminato tra le cose e le direzioni del pianeta, naturalmente ho parlato del Liberalismo e della visione del mondo che lo sostanzia, della difesa delle libertà individuali dall’ingerenza della politica e dalle onnipresenti strutture statuali. Modesta la sensibilità espressa su questi aspetti. All’inverso, forte sintonia sulla politica internazionale, concordando sul principale interesse USA di predisporre un ordine mondiale in funzione anti Cina in vista dello showdown per Taiwan e sull’inutilità della guerra in Ucraina. Altrimenti, non sarebbe affatto comprensibile come un conflitto locale che interessa un territorio, tra Crimea e Donbass, con una superfice di 78.368 km², quasi pari a Piemonte, Lombardia, Veneto e Trentino Alto Adige, pari al 12,98% dell’Ucraina, e una popolazione di 8,600 Ml, possa poter coinvolgere il pianeta in un conflitto nucleare.
Sarcasmo per l’insignificante leadership della dirigenza europea. La baronessa von der Leyen dichiarando che Putin mette a rischio il futuro della Russia denota una gran pochezza politica pari a quella di molti suoi Commissari: primo fra tutti, il tenero Josep Borrell Alto – (non si comprende la pomposità del titolo) Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza- paragonabile ad un modesto, molto modesto, funzionario NATO.
E poi il nostro Governo nato gravemente deficitario con il Presidente del Consiglio, impegnato in roboanti annunci, si adopera come tirocinante di Draghi, ancella americana-europeista, non in grado di avvertire che la strategia della NATO ha contribuito ad accelerare il tramonto politico, la collocazione internazionale e la realizzazione di un’autonoma difesa dell’Europa. Avevamo creduto che il nuovo dovesse nascere dall’antico e che l’Europa avrebbe potuto ripercorrere il cammino di Carlo Magno di Gregorio VII, di Adenauer, ci ritroviamo, invece, con la baronessa, Macron e la Meloni.
Insomma, un ragionamento a due voci coincidenti, che con l’andar del tempo si è avvicinato a riflessioni sul futuro dell’Umanità, sulle criticità non dette appannaggio di circoli ristretti nostri benefattori intellettuali e interessati architetti del vivere futuro. Il transumanesimo e il postumanesimo, suo sostrato filosofico, individuano nell’avanzamento tecnico, farmaceutico e scientifico la chiave di volta per la modifica biologica del corpo umano, reso più efficiente superando invecchiamento, malattie e, perché no?
La morte.
Microchip assicureranno più memoria, intelligenza e capacità robotica, siamo al dominio del materialismo scientista. Preoccupazioni? Di fatto inesistenti. La politica? Intesa come costruzione del futuro, giunge fino alla preoccupazione per le prossime elezioni. L’intellighenzia di Davos, naturalmente favorevole e partecipe. Klaus Schwab riporta nel suo libro La Grande Narrazione un aforisma di Isaac Asimov: “La scienza raccoglie conoscenza più velocemente di quanto la società raccolga saggezza”. Una grande non verità!
E la Chiesa? Silenziosa per il grande pubblico, interessata e possibilista per gli specialisti con le posizioni, del vangelo gesuita, della Civiltà Cattolica e ancor più con il pensiero del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura, “il trans-postumanesimo è tendenzialmente obbediente al sistema sperimentale della scienza e della tecnica, senza porsi – almeno a livello sistematico – interrogazioni e premesse consistenti e qualificate di indole filosofica e tanto meno teologica”. Con una blanda e superflua riflessione, il canto del cigno della sacralità del ministero cristiano è servito. Alla Chiesa di Roma resta un assai modesto potere temporale, molto omaggiato dalla comunicazione politica, molto trascurato dai tanti orfani di un rappresentante dell’autorità spirituale e molto ignorato dal sentire popolare. Dopo sedici secoli il Cristianesimo è attraversato da una profonda crisi della sua stessa identità, certamente non è la prima, ma, nel prossimo futuro, il Cristianesimo avrà continuità non del tutto minoritaria se vorrà e saprà ritornare al Cristianesimo e l’uomo saprà ritornare all’uomo.
Nel frattempo avanza il metaverso cioè la possibilità di vivere in maniera virtuale in mondi digitali interconnessi, per i suoi propugnatori è una semplificazione del nostro vivere, sostanzialmente siamo sulla strada della robotizzazione dell’uomo, della spersonalizzazione e dell’estraneità con l’ambiente naturale. Siamo ad una sorta di ossimoro degli stessi che, contemporaneamente, auspicano l’espandersi dei mondi virtuali e un pianeta del tutto green e sostenibile. E così ritorniamo all’illusione persistente della realtà di Einstein, ai conflitti indotti, esasperati, che fanno tanto postmoderno: donna contrapposta a uomo, ragazzi a vecchi, nord a sud, migranti ad autoctoni e così di seguito, l’importante non è neppure essere avanti, ma portarsi al di là. Superato anche il corpo sociale, nell’accezione durkheimiana, il futuro presuppone la cancellazione, con una espressione postmodernista, una cancel culture anche dell’ieri.
I nostri ragionamenti sul futuro concordano abbastanza, non quelli sulle prospettive politiche, sulla necessità di comprendere il nesso tra ideologie, pensiero politico e quotidianità. Del resto sarebbe stato difficile per un apolide, angustiato dall’anomia, ritrovarsi anche con la mia speculazione politica, men che mai sulla consistenza del liberalismo.
Verso le 24 siamo stati raggiunti da tre suoi conoscenti e il nostro scambio si è avviato alla fine. Mia l’inquietudine per aver incrociato, inutilmente, un analista, cittadino di un mondo che non c’è avrei voluto chiedergli di entrare in Società Libera.
Ci salutiamo e lascio i trenta euro, decisamente rifiutati, li lascio cadere sul marmo d’ingresso di quel negozio e mi allontano mentre risuonava: “L’avevo detto che eri un pirla:” Io, di rimando: “Promissio homo bonus est obligatio”.
*Direttore Società Libera