I suggestivi obiettivi economici di Giorgia Meloni
Nel suo primo discorso in Parlamento la premier Giorgia Meloni ha toccato molti aspetti dei principali temi economici che il governo si troverà ad affrontare nel suo mandato. Molto di quello che ha detto è risuonato suggestivo ed è condivisibile, anche perché i discorsi programmatici – a differenza della legge di bilancio che verrà entro fine anno – non sono sottoposti a vincoli né affrontano il tema delle interdipendenze positive e negative tra i vari propositi che possono metterli in contraddizione tra di loro.
Proviamo ad esempio a mettere assieme una serie di dichiarazioni d’intenti (per lo più lodevoli) che, se realizzate, andranno sicuramente a incidere sulla spesa pubblica. Si è parlato di rafforzamento dell’assegno unico per il figlio, di intervento sul cuneo fiscale per ridurre le tasse sul lavoro, di riduzione delle imposte sui premi di produttività, di innalzamento ulteriore della soglia di esenzione dei cosiddetti fringe benefit, di potenziamento del welfare aziendale e allargamento della platea dei beni primari che godono dell’ Iva ridotta al 5%. E non ultimo di flat tax leggera già contenuta nel programma di Fdi che prevede estensione della soglia da 65mila a 100mila euro (niente a che vedere, per fortuna, con quella che ha mandato gambe all’aria la premier britannica Truss).
Intenti che potranno essere realizzati se esisteranno gli spazi di bilancio negoziati con la Ue in un contesto che si preannuncia molto più difficile di quello degli ultimi due anni del governo Draghi, dove ripresa economica e inflazione hanno ridotto significativamente il rapporto debito/Pil e creato spazi importanti di spesa. L’atteggiamento nei confronti dell’Europa e in particolare sul Pnrr (nessuna grande modifica richiesta) ha rassicurato tutti (inclusi i mercati finanziari che ieri hanno chiuso con Borsa in positivo e leggera compressione dello spread), confermando che la premier è molto accorta e ben consapevole dei limiti di manovra che un Paese ad alto debito come il nostro ha se vuole mantenere la copertura dell’ombrello della Bce. Le punture di spillo nel discorso sulle politiche sui tassi e la fine del “quantitative easing” sono nei limiti di una dialettica costruttiva. Come ben sappiamo la Ue ha giocato un ruolo eccezionale nella fase della pandemia (Pnrr, eurobond, Sure) mentre sembra oggi meno capace di mettere in moto la forza della cooperazione sul fronte del price cap.
Se il nuovo governo italiano saprà stimolarla nei limiti del consentito a una maggiore solidarietà e coesione potrà giocare un ruolo utile. Tra tante buone intenzioni c’è però qualche piccola nota stonata. Infelice, infatti, è sembrata l’affermazione «non disturbare chi vuole fare» perché i vincoli di responsabilità sociale e ambientale nell’attività dell’impresa sono fondamentali se si vuole incidere su altri obiettivi indicati dalla premier come la lotta al caporalato, il contrasto alle povertà, la dignità del lavoro e la sostenibilità ambientale. Sul reddito di cittadinanza è ora di uscire dal confronto ideologico riconoscendo come la misura esista in tutti i Paesi europei e sia il caso di discutere sul rapporto tra entità del beneficio e soglia di povertà (noi siamo tra i più generosi) e su come evitare il disincentivo alla ricerca e accettazione di posti di lavoro per i percettori occupabili.
Parlare tout court di revocare la misura a chi può lavorare (a parte la difficoltà di definire tale confine) vuol dire mettere in difficoltà chi cerca lavoro. Meglio puntare sulla maggiore severità verso chi un lavoro lo rifiuta. Sul fronte ambientale, nonostante l’insistenza sulla ripresa dell’estrazione del gas dal fondo dei nostri mari e sulla “neutralità tecnologica”, qualche speranza si apre quando si parla d’Italia come paradiso delle fonti rinnovabili. Se si volesse essere coerenti su questo punto col perseguimento della «sicurezza energetica» (aggiungiamo noi, perché no, anche della «sovranità energetica» per citare un altro sostantivo caro al nuovo governo) allora correre sulle rinnovabili è l’unica strada per evitare di dover dipendere oggi ma soprattutto in futuro dai produttori di petrolio e da chi decide se aprire o no il rubinetto del gas. «La libertà – conclude la premier citando san Giovanni Paolo II – non consiste nel fare ciò che ci piace, ma nell’avere il diritto di fare ciò che si deve».
Aggiungiamo noi alla luce di ciò che accade sulla frontiera dell’economia civile e del magistero di papa Francesco «nel fare con convinzione e con gioia ciò che rende la nostra vita generativa, soddisfacente e ricca di senso perché ricca di contributi nei confronti dei nostri simili» (un modo più rotondo, profondo e convincente di declinare i cosiddetti doveri). Il Terzo settore e la società civile citati dalla premier per la loro lodevole risposta alla pandemia non possono e non devono avere un ruolo marginale in questo percorso.
Giacomo Marcario