Politica nazionale

La Camera vota la fiducia al governo Meloni e riconosce la leadership di Giorgia

Con «emozione» e «rispetto» la premier fa il suo esordio a Montecitorio, ringrazia Mattarella, parla di radici cristiane dell’Europa e cita Francesco e Giovanni Paolo II. Mercoledì fiducia in Senato

Alle 20.45 il governo Meloni viene promosso dalla Camera, che dà il via libera alla fiducia con 235 voti a favore. I voti contrari sono 154. 389 i votanti. L’asticella della maggioranza era fissata a quota 195. L’esito della votazione è stato accolto dall’applauso della maggioranza. La giornata è stata lunga e impegnativa: al mattino il discorso programmatico, seguito dal dibattito, al termine del quale Giorgia Meloni ha di nuovo preso la parola.

Infine la votazione. Intanto all’Università La Sapienza è stata una mattinata di tensione, per una protesta dei collettivi studenteschi contro un convegno organizzato da Azione Universitaria. Alcuni attivisti hanno tentato di entrare nella facoltà di Scienze Politiche e sono stati respinti dalla Polizia che ha anche usato i manganelli. Con «emozione» e «rispetto» Giorgia Meloni fa il suo esordio alla Camera da presidente del Consiglio per il discorso programmatico in vista del voto di fiducia.

L’incipit, come di consueto, è fatto di ringraziamenti: quelli rivolti al capo dello Stato, al suo predecessore Mario Draghi e ai colleghi di coalizione, ma anche a chi non le voterà la fiducia. Nelle parole della premier c’è «l’orgoglio di essere la prima donna a capo del governo di questa nazione». Una circostanza che la porta a soffermarsi sulle tante colleghe che «hanno costruito con il loro esempio la scala che oggi mi è concesso di salire», permettendole così «di rompere un tetto di cristallo». Protagoniste della storia del Paese che «hanno osato per impeto, ragione e amore».

Le chiama per nome: Nilde, Tina, Marta ed Elisabetta e a loro rivolge il suo grazie per aver dimostrato «il valore delle donne italiane». La prima rivendicazione è quella di essere alla guida «finalmente di un governo politico», a tutti gli effetti, e l’obiettivo è di governare in stabilità e per 5 anni «liberando le migliori energie di questa nazione». Poi si arriva al posizionamento europeo. Il presidente del Consiglio, come vuole essere chiamata Meloni, fa riferimento esplicito alle «radici giudaico-cristiane dell’Europa», e assicura: «L’Italia è a pieno titolo parte dell’Occidente e del suo sistema di alleanze.

Stato fondatore dell’Unione Europea, dell’Eurozona e dell’Alleanza Atlantica, membro del G7 e ancor prima di tutto questo, culla, insieme alla Grecia, della civiltà occidentale e del suo sistema di valori fondato sulla libertà, l’uguaglianza e la democrazia; frutti preziosi che scaturiscono dalle radici classiche e giudaico cristiane dell’Europa. Noi siamo gli eredi di San Benedetto, un italiano, patrono principale dell’intera Europa».

Le parole più attese sono però quelle sul conflitto in Ucraina e Meloni chiarisce da subito che il sostegno italiano a Kiev continuerà. «La libertà ha un costo, l’Italia continuerà ad essere partener del valoroso popolo ucraino che si oppone all’aggressione della Russia», non soltanto «perché non possiamo accettare la guerra ma anche perché è il modo migliore di fare il nostro interesse nazionale». «Sbaglia chi crede che sia possibile barattare la libertà dell’Ucraina con la nostra libertà – continua la presidente del Consiglio -. Cedere al ricatto di Putin non risolverebbe il problema».

Immancabile il monito all’opposizione, che prende le mosse dal capitolo riforme costituzionali: «Sulla riforma del presidenzialismo vogliamo confrontarci con tutte le forze politiche presenti in Parlamento, per giungere alla riforma migliore e più condivisa possibile. Ma sia chiaro che non rinunceremo a riformare l’Italia di fronte ad opposizioni pregiudiziali. In quel caso ci muoveremo secondo il mandato che ci è stato conferito su questo tema dagli italiani: dare all’Italia un sistema istituzionale nel quale chi vince governa per cinque anni e alla fine viene giudicato dagli elettori per quello che è riuscito a fare».

Un passaggio al quale segue un altro tema scottante: il fisco. Meloni evoca una «rivoluzione copernicana», da cui «dovrà nascere un nuovo patto fiscale, che poggerà su tre pilastri Il primo: ridurre la pressione fiscale su imprese e famiglie attraverso una riforma all’insegna dell’equità: riforma dell’Irpef con progressiva introduzione del quoziente familiare ed estensione della tassa piatta per le partite Iva dagli attuali 65 mila euro a 100 mila euro di fatturato. E, accanto a questa, introduzione della tassa piatta sull’incremento di reddito rispetto al massimo raggiunto nel triennio precedente: una misura virtuosa, con limitato impatto per le casse dello Stato». Ampio spazio anche al lavoro. «C’è un tema di povertà dilagante», spiega il premier, da non «ignorare. Sua Santità Papa Francesco, a cui rivolgo un affettuoso saluto, ha di recente ribadito un concetto importante: ‘La povertà non si combatte con l’assistenzialismo, la porta della dignità di un uomo è il lavoro.

Vogliamo mantenere e, laddove possibile, aumentare il doveroso sostegno economico per i soggetti effettivamente fragili non in condizioni di lavorare», ma «per gli altri, la soluzione non può essere il reddito di cittadinanza, ma il lavoro». Un passaggio questo che gli vale l’applauso, in piedi, anche del segretario del Pd Enrico Letta. A metà discorso c’è tempo anche per un piccolo siparietto che coinvolge la premier e Matteo Salvini: «Se continua così finiamo alle tre», ironizza Meloni facendo riferimento ai numerosi applausi che interrompono il suo intervento. Ineludibile il tema dei migranti. Il capo dell’Esecutivo parla di «sicurezza e legalità» che «riguardano anche una corretta gestione dei flussi migratori.

Secondo un principio semplice – aggiunge ancora Meloni -: in Italia, come in qualsiasi altro Stato serio, non si entra illegalmente, si entra legalmente attraverso i decreti flussi». «La nostra intenzione è sempre la stessa. Ma se non volete che si parli di blocco navale lo dirò così – spiega ancor più esplicitamente -: è nostra intenzione recuperare la proposta originaria della missione navale Sophia dell’Unione europea che nella terza fase prevista, e mai attuata, prevedeva proprio il blocco delle partenze dei barconi dal nord Africa». «Più in generale – incalza la leader sovranista – la sicurezza sarà un tratto distintivo del governo». Per quanto riguarda la propria appartenenza, la premier è piuttosto chiara nel dichiarare di non aver «mai avuto simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici. Per nessun regime, fascismo compreso.

Esattamente come ho sempre reputato le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre. I totalitarismi – aggiunge – hanno dilaniato l’intera Europa, non solo l’Italia, per più di mezzo secolo, in una successione di orrori che ha investito gran parte degli Stati europei. E l’orrore e i crimini, da chiunque vengano compiuti, non meritano giustificazioni di sorta, e non si compensano con altri orrori e altri crimini. Nell’abisso non si pareggiano mai i conti, si precipita e basta».

Il lungo discorso si conclude con il ricordo di Papa Giovanni Paolo II: «Nel giorno in cui il nostro Governo ha giurato nelle mani del Capo dello Stato, ricorreva la memoria liturgica di Giovanni Paolo II. Un Pontefice, uno statista, un santo, che ho avuto il privilegio di conoscere personalmente. Mi ha insegnato una cosa fondamentale, della quale ho sempre fatto tesoro. “La libertà” diceva “non consiste nel fare ciò che ci piace, ma nell’avere il diritto di fare ciò che si deve”. Io sono sempre stata una persona libera, per questo intendo fare ciò che devo». Un lungo applauso chiude l’intervento tra i cori dei parlamentari della maggioranza che riempiono l’Aula scandendo il nome del premier: «Giorgia, Giorgia!».

Marcario Giacomo

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