Interviste & Opinioni

Il sentimento europeo è qualcosa che non ci appartiene

Il sentimento europeo è qualcosa che non ci appartiene

È questo il dilemma che caratterizza l’attuale situazione europea e le prospettive future e in vista delle prossime elezioni del 25 settembre:
Il sentimento europeo è qualcosa che non ci appartiene ? Nella nostra migliore tradizione di autoflagellazione collettiva, non mancano gli epiteti negativi per definire il momento attuale.

Viviamo tempi turbolenti, convulsi, privi di solidarietà, al posto della promessa della “fine della storia” e del paradiso dopo la guerra fredda.

Il futuro dell’Italia è al centro dell’Europa, è con Germania, Francia, Bruxelles, con la Spagna?

Questo è il naturale ruolo dell’Italia, è inutile che si cerchi di andare verso l’Ungheria di Orban o altre scelte ?

C’è chi lavora con Olaf Scholz per una soluzione europea contro il caro energia. E c’è chi vota per salvare Orban.

Anche su questo si sceglie il 25 settembre..

Negli ultimi anni l’Unione europea non ha certamente vissuto i suoi momenti di maggiore popolarità. Numerose sono state le riflessioni sul suo operato e la sua esistenza è stata addirittura messa in discussione da molte parti politiche.

Tre le principali critiche all’Unione europea:
la perdita di sovranità degli Stati membri,
la costruzione dell’Euro ela mancanza di un’identità europea.

La prospettiva dell’uscita di uno Stato membro dall’Unione Europea non è una novità: dopo la Brexit esiste già un movimento composto da varie forze di estrazione trasversale che spinge per una Italexit.

Non voglio in questa sede entrare nel merito delle questioni politiche (il sovranazionalismo applicato dalla UE funziona o no? Ha portato e/o porterà vantaggi agli Stati membri?) e neppure geoeconomiche (un singolo Stato nel contesto globalizzato ha maggiori o minori possibilità di competere con le altre potenze economiche – USA, Giappone ed i BRICS – ?).

Quello che voglio approfondire è la questione dei finanziamenti che sono gestiti direttamente e indirettamente dall’Unione Europea. Questo perché molta stampa ha addotto, tra le argomentazioni circa l’opportunità dell’abbandono dell’UE da parte dell’Italia, il fatto che il bilancio tra quanto versiamo e quanto riceviamo è nettamente in passivo.

Al di là delle cifre, che dimostrano come questo assunto sia vero (per una completa analisi è possibile consultare il sito web del Governo italiano circa l’impiego dei fondi UE all’indirizzo: http://www.opencoesione.gov.it/) quali sono le le cause di questa situazione che purtroppo perdura da anni?

La situazione è molto semplice: i fondi sono disponibili, solo che occorre saperli farseli assegnare seguendo ,come fanno molti Stati membri dell’Ue , le normative che li regolano.

Occorre dunque che vi sia una conoscenza dei queste regole ed una capacità di progettazione che guardi si ai bisogni locali ma li contestualizzi in un ambito europeo. Occorre che vi sia un quadro burocratico – amministrativo più snello e politiche ed interventi mirati per superare questi “ostacoli”.

L’Unione Europea ha dunque bisogno di idee e strumenti per poter sopravvivere a un circostante contesto geopolitico avverso.

La crisi dell’immigrazione pone in evidenza una doppia dimensione: quella dei rifugiati provenienti da situazioni di conflitto armato, che richiedono asilo, e quella dei giovani che vedono il paradiso in un telefono cellulare e cercano di raggiungerlo.

Un’Europa che invecchia messa di fronte a un continente demograficamente più attivo, l’Africa.

Le risposte a queste sfide richiedono un sistema politico che affermi la propria sovranità e capacità. Per questo, il termine di moda è aumentare le “clausole passerella”, eufemismo tecnocratico per indicare il passaggio, nelle decisioni, dall’unanimità al voto a maggioranza: in altre parole il federalismo come obbligo, come necessità storica.

Le persone sono sempre più coscienti che separati non ci salveremo.

Per questo stavolta non serve mettersi, dopo le elezioni, a calcolare le somme parziali, ma bisogna valutare il totale di ogni famiglia politica e la sua incidenza entro uno spazio vitale condiviso, la stessa società civile.

Si può dire in sostanza che il populismo non è un invenzione venuta dall’esterno, ma è come il colesterolo del sangue della società. Il problema nasce quando sistematicamente si alimenta il colesterolo cattivo rispetto a quello buono con promesse miracolistiche o semplificatorie, inadeguate per realtà complesse e in fase di cambiamento.

Pensateci alle urne .

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