Fare rete fra associazioni per essere più forti – II parte
Pubblichiamo di seguito la seconda parte del un testo “Fare rete fra associazioni per essere più forti“ pervenutoci da Rosapia Farese, Ideatrice Creatrice Co-Fondatrice Presidente di “Associazione FareRete – Innovazione Il Bene Comune – Il Benessere e la Salute in un Mondo Aperto a Tutti – Michele Corsaro” – Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale. La parte precedentemente pubblicata è disponibile al link: prima parte
2^ PARTE
FareRete Innovazione BeneComune APS -Onlus: FARE RETE TRA ASSOCIAZIONI PER ESSERE PIÙ FORTI
“Esserci significa esserci coi fatti. Le parole, spesso, sono il modo più certo di essere altrove.” (Filippo Alosi)
PROSPETTIVE FUTURE E NUOVE FORME DI VITA SOCIALE: IL MODELLO STEINERIANO.
Al centro di queste nuove forme di vita sociale ci vorrebbe una visione Steineriana dell’Organismo sociale”, inteso come corpo, anima e spirito in grado di mediare tra l’Organismo giuridico rappresentato dallo Stato, o meglio dalla PA, e l’organismo economico rappresentato dalle Banche.
Per affermare l’Organismo sociale in grado di compiere in maniera efficace ed effettiva il cambiamento della società, occorre che esso acquisisca un modello sociale, culturale e educativo comunitario, serve una visione collettiva e non singoli specialismi.
Un esempio di partecipazione in questo senso è dato dal bilancio partecipato e dal bilancio sociale.
Un altro strumento è il “Regolamento sul dibattito pubblico” entrato in vigore da agosto 2018 e ideato in Francia dalla sociologa Marion Carrel, esso consentirà ai cittadini di far sentire la propria voce su questioni inerenti alla realizzazione delle grandi opere pubbliche.
LE QUATTRO FORME DELLA PARTECIPAZIONE
Carrel ha osservato quattro forme di partecipazione:
– La partecipazione inutile: le decisioni sono prese dall’alto
– L’ingiustizia partecipativa: gli ultimi sono esclusi dal processo decisionale, perché non formati;
– Empowerment partecipativo: tutti partecipano se hanno cose da dire;
– Partecipazione inclusiva: Co-formazione – teatro-forum-video
LE CONDIZIONI DELLA PARTECIPAZIONE EFFICACE:
Carrel individua cinque condizioni:
– Chiarezza dell’obiettivo
– Gruppi di pari su una Ricerca – Azione pubblica (cd. Psicologia comunitaria)
– Capacità di costruire l’inchiesta e rendere visibile il problema
– Animare la partecipazione
– Coinvolgimento dell’Istituzione
I PUNTI ESSENZIALI PER FARE RETE E L’AVVIO DELLA RETE.
L’adesione ad una rete di collaborazione tra organizzazioni non deve essere vista soltanto come un modo per realizzare più efficacemente un cambiamento rilevante nella comunità servita, cioè per ottenere una ricaduta “esterna”. Quella adesione deve essere considerata come un’opportunità concreta ed effettiva per ciascuna singola organizzazione appartenente alla rete con riferimento ai seguenti aspetti:
- a) il confronto e la collaborazione con altri soggetti permette l’ampliamento degli orizzonti culturali ed operativi, consente di operare un salto di qualità nel modo di affrontare le problematiche quotidiane, riducendo l’incertezza delle scelte;
- b) l’appartenenza alla rete costituisce un’opportunità di apprendimento dalle esperienze degli altri membri e di valorizzazione delle proprie attraverso la creazione di una comunità di pratiche;
- c) l’appartenenza alla rete permette lo scambio di risorse informative, umane ed anche economiche che in altro modo non sarebbe possibile ottenere;
- d) la partecipazione alle attività di rete consente l’acquisizione di competenze specifiche legate ai contenuti progettuali ma anche alla gestione di reti di collaborazione, che possono essere trasmesse all’interno dell’organizzazione e riproposte in altre esperienze;
- e) la adesione e la partecipazione attiva alla rete contribuisce a migliorare la reputazione dell’organizzazione sia all’interno della rete, che all’esterno; per quanto possa sembrare un aspetto secondario nella vita di un’organizzazione, la reputazione costituisce una “ricchezza” che può essere impiegata nelle relazioni con altri soggetti individuali (per esempio può incentivare l’acquisizione di nuovi volontari) e collettivi (per esempio può permettere l’acquisizione di legittimazione nelle relazioni istituzionali);
in altri termini “mettersi in rete” aumenta o consolida il prestigio sociale dei membri e della rete stessa;
- f) la adesione alla rete consente di ridurre i costi derivanti dalla eventuale duplicazione degli interventi nel medesimo settore condotte da organizzazioni diverse, e genera una riduzione delle spese – o meglio la loro razionalizzazione; le risorse liberate possono essere impiegate nell’attivazione di altri servizi o nel sostegno stesso della rete;
- g) consente l’acquisizione di abilità nella gestione di tecnologie comunicative e più in generale permette l’accesso ad innovazioni significative nel campo della progettazione e dell’intervento. Si tratta di ambiti di ricaduta che sono in grado di consentire l’accesso a risorse materiali e immateriali di cui normalmente le singole organizzazioni non dispongono; tale accesso, infine, consente di affrontare con maggior adeguatezza gli effetti negativi della crisi economica, sociale, culturale, poiché fondato sulla condivisione delle risorse e sulla reciprocità degli scambi – cioè sul sostegno reciproco tra i membri della rete.
La fase dell’avvio della rete termina quando le dinamiche di negoziazione e coinvolgimento hanno consentito la definizione di un gruppo di organizzazioni disponibili a farsi carico sia degli obiettivi generali che riguardano il progetto, sia quelli particolari che riguardano la costruzione e il funzionamento della rete.
LA DIMENSIONE DELLA RETE
Il numero di questi soggetti – che costituiscono il core network della rete – si definisce in base alla stima della capacità minima della rete di affrontare la progettazione degli interventi, dei servizi, delle attività per i quali la rete stessa è nata; ulteriori coinvolgimenti potranno essere operati successivamente.
Adesso è tempo di chiudere la fase del networking iniziale e di aprire un nuovo capitolo, quello della costruzione della rete.
Questa apertura avviene, di fatto, nella prima riunione di fondazione della rete, che sarà dedicata essenzialmente a confermare la condivisione dei riferimenti valoriali e progettuali comuni, a introdurre le singole organizzazioni aderenti così da permettere la reciproca conoscenza ed il mutuo riconoscimento, e la definizione dei percorsi da compiere per costruire e consolidare la rete, in modo che possa avviarsi anche la fase di progettazione degli interventi per cui la rete stessa è nata.
Qui c’è subito un punto da chiarire: come si sarà capito, “mettersi in rete” significa dedicare tempo, energie e risorse ad un’attività che è orientata alla formazione e al mantenimento di una organizzazione di secondo livello che trova il suo fondamento nelle relazioni di collaborazione, scambio, condivisione e mutuo sostegno finalizzate direttamente alla realizzazione di un disegno progettuale definito nei suoi obiettivi, e indirettamente nel rafforzamento, nello sviluppo e nell’eventuale ampliamento della rete stessa.
Questo punto è essenziale: la rete non è una sorta di “associazione di servizio” o un gruppo di mutuo aiuto in cui le persone interagiscono con la finalità di collaborare reciprocamente per migliorare la propria condizione (individuale o dell’organizzazione che esse rappresentano); né è una partnership finalizzata alla cooperazione tra i partner per facilitare e supportare obiettivi che riguardano le singole organizzazioni.
La rete si fonda sulla collaborazione attiva tra i suoi membri per realizzare obiettivi progettuali concreti che interessano soggetti altri rispetto alla rete, come ad esempio la comunità di riferimento o particolari fasce di popolazione, mediante l’attivazione di specifiche azioni, di servizi e di interventi che nessuna singola organizzazione, da sola, sarebbe in grado di organizzare.
In questo senso essa si distingue dalla partnership e dal coordinamento perché la rete prevede un’interazione effettiva e continua tra i membri, un flusso concreto di risorse, la definizione di una governance di funzionamento e l’individuazione di strategie di valutazione dell’efficacia della rete e degli interventi che attua nel corso del tempo.
La costruzione della rete implica l’attivazione di interazioni concrete ed effettive tra i propri membri, cioè con persone che mentre rappresentano la propria organizzazione di appartenenza, tuttavia si propongono proprio come persone, con le proprie caratteristiche comunicative, caratteriali, professionali, ecc…
In altri termini ogni membro della rete vi appartiene in virtù di un “mandato istituzionale”, ma le modalità in cui questo mandato si esercita variano in funzione delle caratteristiche personali dei soggetti coinvolti. L’interazione tra più persone all’interno della rete favorisce la condivisione di esperienze dotate di una valenza comunicativa, relazionale, ed anche emotiva che è in grado di arricchire nel contempo i singoli soggetti quanto l’intero assetto di rete. Interagire concretamente insieme, in quanto rete, inoltre, consente la costruzione di un patrimonio condiviso di esperienze che contribuiscono a delineare l’identità della rete stessa, una storia comune.
La natura di queste interazioni è essenzialmente fondata sulla collaborazione; detto in altro modo, le dinamiche di rete sono costituite dalle interazioni collaborative tra i membri che ne fanno parte.
Nella rete, il networking collaborativo rappresenta il modo privilegiato di interagire per il perseguimento dello scopo per cui la rete è sorta. L’esistenza della rete, quindi, è possibile soltanto in base alle interazioni di reciproco scambio e sostegno tra i suoi membri e dunque alla loro frequentazione, alla loro connessione e alla intensità comunicativa ed emotiva delle loro relazioni.
La rete, dunque, esiste prima di tutto in virtù delle dinamiche di interazione e di collaborazione tra i soggetti (i “nodi”) che la compongono.
Ma quali sono le condizioni o i prerequisiti affinché la collaborazione sia efficace?
Prima di tutto si dovrà ricordare che la collaborazione costituisce sia un modo particolare di interagire, sia un atteggiamento mentale, ed entrambe queste due dimensioni si rafforzano vicendevolmente: quanto più si è aperti all’interazione fattiva con gli altri, tanto più essa sarà efficace e in grado di generare esiti soddisfacenti, i quali a loro volta potenzieranno la propensione all’interazione comune.
IL NETWORKING COLLABORATIVO
Il networking collaborativo si fonda su una serie di requisiti che si consolidano e si rafforzano attraverso l’interazione tra i membri della rete; tali requisiti sono:
- a) il riconoscimento degli altri e la fiducia nei loro confronti;
- b) l’attivazione di interazioni di reciprocità generalizzata mediante lo scambio di risorse;
- c) l’esercizio dell’ascolto delle proposte e delle ragioni degli altri: la rete è un luogo di reciproco apprendimento;
- d) la gestione della eventuale conflittualità mediante la negoziazione delle prospettive e la valorizzazione di ogni singola posizione mediante sintesi comuni e condivise.
Riconoscere gli altri membri della rete non significa soltanto conoscerli in modo più approfondito, condizione che già favorisce il superamento di eventuali pregiudizi o diffidenze, ma soprattutto considerarli come attori legittimati ad intervenire nella rete in virtù delle specifiche caratteristiche che li contraddistinguono (ad esempio in virtù di particolari esperienze o competenze maturate nell’ambito di azioni coerenti con lo scopo della rete).
Questo riconoscimento favorisce l’apertura di un credito verso gli altri membri: ad ognuno di essi, cioè, ci si affida, ritenendo fondato ed effettivo il contributo che ognuno può dare al funzionamento della rete e al raggiungimento degli obiettivi.
Il riconoscimento, quindi, genera fiducia.
Il riconoscimento e la fiducia consentono l’attivazione delle interazioni tra i membri della rete, che non possono non essere faccia a faccia: l’azione comune e congiunta tra i membri della rete costituisce il modo privilegiato, anche se non esclusivo, attraverso cui si costruisce la rete.
Da qui si comprende come la rete non possa essere un’attività occasionale: essa deve essere “coltivata”, “sostenuta”, “nutrita” proprio attraverso le relazioni dirette tra tutti i nodi che la compongono, e dunque necessita di tempi congrui di consolidamento e sviluppo.
La collaborazione fondata sul riconoscimento e sulla fiducia, si esercita e si attua avendo chiari gli obiettivi da raggiungere e le cose da fare, mediante la divisione dei compiti, e quindi attraverso la condivisione delle esperienze, delle conoscenze, dei punti di vista e delle risorse che ogni membro è in grado di mettere a disposizione della rete.
La condivisione delle risorse personali e della organizzazione di appartenenza costituisce l’indicatore più efficiente della propensione alla collaborazione ed esprime in modo trasparente la misura della disponibilità a “mettersi in gioco” per il successo delle attività.
La reciprocità generalizzata significa che lo scambio effettivo di risorse (tempo, informazioni, conoscenze, competenze, attrezzature, persone, denaro, ecc.…) avviene tra tutti i membri della rete, secondo la vocazione e la disponibilità di ognuno, sebbene in tempi e modi che possono essere diversificati.
Sebbene nella fase di avvio della rete, i promotori abbiano certamente lavorato molto per condividere e rendere comuni le finalità e gli obiettivi della rete, nei primi incontri con tutti i membri tali finalità e obiettivi andranno ulteriormente ribaditi ed eventualmente sviluppati, integrati e condivisi.
Tuttavia, è ovvio che nelle dinamiche e nelle interazioni concrete possano emergere diversità di punti di vista sulle strategie da perseguire, sulla gerarchia degli obiettivi intermedi da raggiungere, sul modo di condividere risorse e su molti altri aspetti dello “stare in rete”.
La diversità e la divergenza dei punti di vista sono, per certi aspetti, funzionale e feconda per la rete – fino a quando esse non vengono deliberatamente utilizzate per intenti distruttivi. L’atteggiamento collaborativo esige, come si può intuire, la disponibilità alla negoziazione delle prospettive e al raggiungimento di punti comuni e condivisi che rappresentino compromessi e sintesi delle posizioni. Il superamento delle situazioni conflittuali è possibile soltanto se i punti di sintesi raggiunti non sono percepiti come un esito in cui qualcuno “vince” ed altri “perdono”, ma in cui tutti quanti “vincono”, anche se in misura minore rispetto a quanto ipotizzato in partenza.
COSTRUIRE LA STRUTTURA DELLA RETE
La rete può esistere, consolidarsi e svilupparsi solo se si attivano interazioni collaborative tra i suoi membri, cioè dinamiche effettive di networking.
Questo significa che le interazioni devono essere situate (cioè devono potersi attuare all’interno di spazi opportuni e secondo una tempistica condivisa) e regolate (cioè devono potersi attuare secondo regole condivise), poiché tali interazioni, per quanto significative, utili e piacevoli possano essere, devono essere finalizzate alla deliberazione di scelte e alla indicazione di cose da fare. In altri termini, la rete deve prevedere una struttura intesa sia nel senso della organizzazione e pianificazione delle attività, sia nel senso della sua regolamentazione. In una qualche misura, dotare la rete di una struttura così definita, implica la sua formalizzazione; questo aspetto può sembrare in contraddizione con alcuni luoghi comuni che circolano sulla natura delle reti, cioè che esse debbano essere il più possibile informali, libere nell’adesione, flessibili, democratiche e non gerarchiche.
Tuttavia, si dovrà ricordare che formalizzare una rete significa identificare le coordinate spaziali, temporali e strutturali in cui si rende possibile la sua esistenza e la sua efficacia. Un livello minimo di formalizzazione è essenziale per il funzionamento della rete e la sua riconoscibilità sia da parte dei membri, sia da parte della comunità servita; è, in ultima analisi, un fattore di identità e di identificazione.
Costruire la struttura della rete significa identificare:
- a) uno o più luoghi che consentano l’incontro faccia a faccia tra i “nodi” della rete;
- b) un insieme di regole che riguardino il modo di prendere decisioni, di organizzare le interazioni comuni, l’accesso e la condivisione delle risorse, le modalità di acquisizione di nuove adesioni e il recesso;
- c) un “forum” che favorisca il confronto, la riflessione e il dibattito tra i membri della rete, in preparazione o a seguito degli incontri faccia a faccia;
- d) l’esercizio di una funzione minima e semplice di amministrazione e coordinamento;
- e) i modi attraverso cui comunicare nella comunità di riferimento il senso della propria presenza, la propria attività ed i suoi esiti.
La possibilità di attivare rapporti faccia a faccia è un elemento strategico per l’esistenza, lo sviluppo e l’efficacia della rete; per questo è molto importante organizzare riunioni in cui tutti i membri si possano incontrare per conoscersi, confrontarsi, discutere, progettare attività ed interventi, scambiare risorse, valutare sia l’andamento della rete, sia l’andamento delle azioni per cui la rete è nata. Si tratta di dinamiche del tutto note alle organizzazioni di volontariato, per cui basterà attivare le proprie competenze in materia estendendole a quella meta-organizzazione che è la rete.
La presenza di una sede unica non è strettamente indispensabile al suo funzionamento; sarebbe invece preferibile, se tecnicamente possibile, tenere le riunioni in modalità itinerante, cioè incontrarsi ogni volta in una diversa sede (quelle delle organizzazioni appartenenti). La frequenza degli incontri non può essere definita in astratto, poiché essa dipende dall’obiettivo della rete, dal numero dei membri e dal grado di investimento di tempo (e ovviamente di altre risorse) che essi assegnano al 45 Fare rete “lavoro di rete”).
Non esiste inoltre un “numero ottimale” di membri della rete, anche se alcuni studiosi hanno osservato, sulla base di esperienze condotte in diversi paesi, che esso oscilla tra 30 e 40 “nodi”; si tratta di un’indicazione quantitativa riferita a reti osservate ad un livello di sviluppo già avanzato, cioè dopo alcuni anni dalla loro formazione. Poiché l’obiettivo di questo lavoro è di offrire indicazioni sullo “start up” e sul consolidamento della rete, si dovrà dire che un gruppo numeroso fin dalle fasi iniziali può costituire un ostacolo al raggiungimento di un livello soddisfacente di coesione interna, di chiarezza negli obiettivi e nelle dinamiche comunicative, e rende i processi di negoziazione lunghi e talvolta estenuanti.
Allo stesso tempo, un gruppo troppo ristretto rischia di non contenere l’opportuna diversità di esperienze e di risorse che costituisce in effetti ciò che fa la differenza rispetto a esperienze di cooperazione, di “alleanza” o di partnership generica. Questo punto è utile anche per introdurre un ulteriore elemento di strategia operativa: ovviamente, l’avvio della rete attraverso il coinvolgimento di organizzazioni con caratteristiche simili a quella delle organizzazioni di appartenenza dei promotori potrebbe, da una parte, semplificare i processi di negoziazione e inclusione iniziale, dall’altra consentirebbe di raggiungere in modo più efficace uno degli esiti del lavoro di rete, cioè ridurre gli sprechi dovuti alla eventuale duplicazione degli interventi e la razionalizzazione delle risorse in un certo ambito di attività.
Va ricordato, tuttavia, che ragioni legate allo sviluppo della rete, all’accesso di risorse diverse da quelle già possedute, e la realizzazione di progetti più complessi che necessitano di azioni multi-settoriali, suggeriscono di “innestare” nel gruppo iniziale (ed omogeneo) altri soggetti che sono in grado di apportare elementi di diversità. Infine, anche il livello di coinvolgimento può essere modulato; non è necessario, infatti, che tutti i membri siano operativi nella rete con la medesima intensità, in quanto alcuni soggetti possono, di volta in volta, essere chiamati a intervenire a seconda del tipo di attività progettate.
Alcuni studiosi, infatti, hanno osservato che una delle strutture di rete più efficaci per il raggiungimento di uno scopo è quella definita “centro-periferia”, in cui è possibile identificare un “centro” (il core network) costituito da un insieme di soggetti relativamente (ma non del tutto) simili, per esempio con riferimento al settore di attività, e connessi particolarmente tra loro, a cui è collegata una “periferia” di soggetti che, sebbene meno connessi tra loro e connessi indirettamente con il centro, possono offrire con intensità e ritmi diversi il proprio contributo.
UN BUON PUNTO DI PARTENZA
Una rete iniziale di 10-15 soggetti – lo si dice con la cautela del caso – può essere considerata una buona base di partenza per l’avvio e la costruzione della rete, che si darà tempo (e modi) per i successivi, eventuali ampliamenti e per la valutazione dei coinvolgimenti da operare tra i “nodi periferici”.
Incontrarsi almeno una volta al mese può essere considerato un buon ritmo, sebbene si debba tenere presente che in alcuni momenti di effervescenza gli incontri si debbano o si possano intensificare, così come in alcuni momenti di relativa inattività si possano ridurre; tuttavia, deve essere compiuta una attenta valutazione di opportunità con riguardo ai benefici dell’interazione e ai costi degli investimenti temporali e personali.
Non è inutile sottolineare l’importanza di organizzare incontri e momenti dedicati alla convivialità, che possono facilitare la socializzazione interna.
Gli incontri dovrebbero essere affiancati dall’attivazione di una serie di modalità comunicative differenziate, sostenibili ed effettivamente fruibili da parte dei membri della rete: ad esempio attraverso un forum online che consenta di trasferire nel “mondo virtuale” la pratica della comunicazione della reciproca informazione, dello scambio di risorse e di documenti; una mailing list attiva e produttiva. L’uso di tecnologie comunicative come i social networks (Facebook o Twitter e simili) può essere utile allo scopo di avviare lo scambio comunicativo online in attesa della costruzione di una piattaforma dedicata.
La dinamica del networking consente, e per certi aspetti “impone”, come si capisce, l’esercizio delle pratiche della democrazia diretta nei processi deliberativi; i membri della rete individueranno le procedure e le regole più opportune per prendere decisioni, ma è molto importante tener di conto del fatto che quanto più il processo è partecipato e “orizzontale”, tanto più ampi e decisi saranno i coinvolgimenti e gli sforzi per applicare le decisioni prese.
Si tratta senz’altro di un processo desiderabile, specie quando non vi sia la “pressione” dell’urgenza: il confronto e la deliberazione, infatti, basandosi sull’acquisizione di un consenso esteso, non devono essere “compressi” da tempi ristretti. Nei casi in cui si debba arrivare a decisioni rapide, anche in base alla loro importanza, vale la pena sperimentare forme di consultazione e di deliberazione che consentano di risparmiare tempo (convocazione dell’incontro, discussione, ecc…), ad esempio mediante l’utilizzo delle tecnologie informatiche (consultazione e voto elettronico).
Il funzionamento della rete, inoltre, dovrà essere garantito dall’esercizio (minimo) di funzioni di amministrazione, che contemplano il coordinamento dei flussi informativi interni/esterni e la gestione finanziaria. Le procedure di convocazione, di gestione delle comunicazioni interne (aggiornamento informativo, circolazione delle notizie, ecc..) ed esterne (acquisizione ed invio di posta, ecc.) ed il coordinamento generale, nonché la tenuta dei flussi finanziari in entrata e in uscita devono essere previsti per assicurare il funzionamento ordinato della struttura di rete.
L’assegnazione della responsabilità circa l’esercizio di tali funzioni deve tener di conto delle competenze presenti tra i membri della rete, ma può essere una soluzione ottimale prevedere una turnazione sostenibile –dato che si tratta di funzioni non particolarmente “appetibili”.
Va ricordato, tuttavia, che il coordinamento e la gestione delle risorse costituiscono funzioni irrinunciabili per il consolidamento della rete, per garantirne il corretto andamento e in quanto tali costituiscono indicatori di solidità e serietà sia nella prospettiva interna, sia per gli interlocutori esterni.
IL PORTAVOCE
All’interno della funzione di coordinamento generale può essere anche assegnato il compito di “rappresentanza” esterna: infatti è molto importante che la rete possa individuare un referente (che può essere una persona o un piccolo gruppo) rispetto ai propri interlocutori esterni (gli stakeholders, come si usa dire da qualche tempo).
Poiché il “portavoce” assume una valenza molto importante e verrà sicuramente percepito all’esterno come “leader” della rete, è di straordinaria importanza prevedere meccanismi frequenti di turn-over, in modo da non consolidare possibili posizioni di potere e di influenza nelle mani di un qualche membro, a meno che tale scelta non sia deliberata collegialmente e senza infingimenti.
Un ultimo aspetto da tenere in grande considerazione consiste nella definizione dei modi attraverso cui la rete si “espone” all’esterno mediante processi comunicativi che permettano la conoscenza della sua esistenza, del senso della sua presenza sul territorio, della sua struttura, dei suoi obiettivi e delle sue attività.
LA NUOVA STAGIONE DEL WELFARE DEL LAZIO E DELL’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA PARTECIPATA.
Le Case della salute come “driver” dell’innovazione nell’assistenza sociosanitaria e luoghi di innovazione sociale con il Terzo settore.
Assistiamo già in questi ultimi tempi ad una serie di cambiamenti nell’organizzazione dei servizi: da una parte è stata approvata la Legge regionale di riforma del Sistema Integrato degli Interventi e dei Servizi Sociali, dall’altra è stata annunciata l’apertura sul territorio regionale delle Case della Salute – ne sono previste una per ogni distretto con il rilancio della medicina territoriale ed il funzionamento dei tavoli di partecipazione per facilitare il dialogo con i cittadini e le loro istituzioni.
Tutto questo dovrebbe permettere anche al Lazio, come già attuato con successo in Toscana, Emilia-Romagna e Marche, di realizzare una vera integrazione dei servizi sanitari e di quelli sociali, nell’interesse del cittadino, soprattutto di chi soffre di malattie croniche o rare, disabilità, fragilità. Pochi cittadini sanno però che cosa sono le case della salute e che cosa offrono, ad esempio, o che cosa cambia per quanto riguarda l’integrazione sociosanitaria. Per questo ve ne faccio una breve presentazione. La prima Casa della Salute è stata aperta a Sezze e ora comincia a diventare realtà quel processo di integrazione tra sociale e sanitario che finora, per addetti ai lavori e cittadini, è sempre e soltanto rimasto sulla carta e che ha visto il Lazio tra le regioni meno virtuose d’Italia. Il nuovo modello di welfare che si sta costruendo per la nostra Regione vuole essere innanzitutto più vicino ai cittadini e ai territori e farsi carico dei bisogni delle persone nella loro globalità: bisogni di salute, di inclusione sociale, di maggiore qualità della vita. La Casa della salute è da intendersi come la sede pubblica dove trovano allocazione, in uno stesso spazio fisico, i servizi territoriali che erogano prestazioni sanitarie, ivi compresi gli ambulatori di Medicina Generale e Specialistica ambulatoriale, e sociali, per una determinata e programmata porzione di popolazione. Saranno l’alternativa alle file in Pronto soccorso, uno strumento per combattere l’impoverimento della sanità a seguito delle chiusure di reparti, servizi e ospedali, avvenute in questi anni, oltre all’integrazione con i servizi sociali. Le famiglie riceveranno, infatti, assistenza in un solo posto, senza dover bussare a mille porte diverse, come accade ancora oggi, essendo, la Casa della salute, un modello che si adatta alle caratteristiche del territorio e non il contrario. La mission : il cittadino al centro. Il modello assistenziale delle “Case della Salute” esemplifica proprio questo sforzo programmatorio, progettuale e culturale. La mission delle Case della Salute è innanzitutto quella di offrire accoglienza ai cittadini e orientarli verso i servizi sanitari e socio sanitari necessari rispetto al bisogno presentato, offrire assistenza sanitaria di primo livello per problemi ambulatoriali urgenti di competenza e di pertinenza del medico di medicina generale, offrire la possibilità di completare i principali percorsi diagnostici che non necessitano del livello assistenziale ospedaliero e gestire le patologie croniche attraverso l’integrazione dell’assistenza primaria con i servizi specialistici presenti sul territorio. Come l’ospedale è riferimento per la patologia acuta, così la Casa della Salute vuole essere la risposta concreta e facilmente identificabile sia per i professionisti che, in maniera integrata, lavorano sulla patologia cronica e sull’intercettazione del bisogno territoriale, sia per i pazienti che, sul territorio, possono identificare dei luoghi certi di riferimento per l’assistenza primaria. Insieme agli studi di medicina generale, alle farmacie, ai poliambulatori e ai presidi ospedalieri, la Casa della Salute è uno dei nodi della rete sociosanitaria territoriale con cui si sta costruendo il nuovo modello di sanità nel Lazio e di integrazione socio-sanitaria.
Una risposta concreta, competente e adeguata ai diversi bisogni di assistenza. Tutti potranno rivolgersi alla Casa della Salute come porta di accesso unificata al Sistema Sanitario Regionale. Tutte le strutture del Sistema Sanitario Regionale saranno in Rete con le Case della Salute, per poter fornire, nel minor tempo possibile, la risposta adeguata a ogni singola necessità. Le Case della Salute non saranno tutte uguali, ma si baseranno su un modello flessibile, capace di adattarsi alle caratteristiche delle diverse realtà territoriali. L’obiettivo è quello di passare da un modello di “medicina d’attesa” dove il bisogno si trasforma in domanda, ad una “sanità d’iniziativa”.
COME FUNZIONA: Le Case della Salute sono presidi territoriali aperti almeno 12 ore al giorno, dalle 8,00 alle 20,00, dove si trovano in uno stesso spazio fisico i servizi che erogano prestazioni sanitarie e sociali.
Il Punto Unico di Accesso (PUA) presente in ogni Casa della Salute è lo strumento a disposizione dei cittadini per l’accesso alla rete dei servizi e la presa in carico della domanda. Elementi caratterizzanti della Casa della Salute sono la promozione dei percorsi di cura per le patologie croniche (Diabete, Scompenso Cardiaco, Ipertensione, Bronco Pneumopatia Cronica Ostruttiva) che assorbono una elevata quantità di risorse dal Servizio Sanitario regionale. Si favorisce inoltre l’approccio
multiprofessionale e multidisciplinare degli operatori (medici di medicina generale, medici specialisti, professioni sanitarie), in collegamento con gli altri servizi territoriali e l’ospedale.
Le Case della Salute, grazie anche al sostegno del Terzo settore, diventeranno poi luoghi di innovazione e di progettazione sociale condivisa con i territori, potrebbero diventare il motore di una sanità e di un welfare più solidale e accogliente. Con questo nuovo sistema il protagonismo delle associazioni e del mondo della cooperazione e del volontariato sarà fondamentale per arricchire di competenze e socialità l’offerta dei servizi ai cittadini.
SPAZIO ALLE DOMANDE
Restano aperte degli interrogativi e riflessioni poste alle istituzioni
Qual è stato e qual è il ruolo del Terzo Settore in tutto questo? In che modo il III Settore può collaborare con le istituzioni sociosanitarie per rispondere ai bisogni dei cittadini?
Roma, 19 settembre 2022
Rosapia Farese
Ideatrice Creatrice Co-Fondatrice Presidente di
“Associazione FareRete – Innovazione Il Bene Comune – Il Benessere e la Salute in un Mondo Aperto a Tutti – Michele Corsaro”
Lavoro svolto in COLLABORAZIONE con i propri ASSOCIATI
Bibliografia/Letture per l’approfondimento R. Steiner, La Tripartizione dell’Organismo Sociale, Scritti Sterineriani sulla questione sociale.E. Wenger, Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006.R. Sennet, Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli, Milano, 2012. 72 Anklam P., NetWork. A Practical Guide to Creating and Sustaining Networks at Work and in the World, Butterworth–Heinemann, Oxford, 2007. Cesvot, Reti di volontariato e soggettività collettiva, Cesvot, Firenze, 2012. Cross R., Laseter T., Parker A., Velasquez G., Using Social Network Analysis to Improve Communities of Practice, in “California Management Review”, 19, 1, 2006. Guo C., Acar M., Understanding Collaboration among Nonprofit Organizations: Combining Resource Dependency, Institutional and Network Perspective, in “Nonprofit and Voluntary Sector Quarterly”, 34, 2005. Provan K. G., Veazie M. A., Staten L. K., Teufel-Shone N. I., The Use of Network Analysis to Strengthen Community Partnership, in “Public Administration Review”, 65, 5, 2005. Salvini A., Volontariato come interazione. Come cambia la solidarietà organizzata in Italia, Pisa University Press, Pisa, 2012. Tomei G., Dentro la rete. Considerazioni ed esperimenti in direzione di un approccio riflessivo alla SNA, in Salvini A. (a cura di), Analisi delle reti sociali. Teorie, metodi, applicazioni, FrancoAngeli, Milano, 2007.
Fonte:
Ass.ne FareRete
Innovazione Bene Comune – Michele Corsaro
Sede Legale dell’Associazione FareRete Bene Comune Aps in Roma “c/o Studio Catallozzi”
– Via Bevagna 96 00191 Roma ”sede operativa Via Anagnina. 354 – 00118 Roma