Interviste & Opinioni

E’ necessaria una nuova ecologia della parola

Editoriale

Siamo ormai in piena campagna elettorale I partiti le sparano di tutti i colori: promesse, commenti, impegni, impossibili e fasulli. E’ necessaria una nuova  ecologia della parola

Siamo sommersi dalle parole. Eppure le parole non valgono più nulla. È questo il paradosso nel quale ci troviamo e che la campagna elettorale appena iniziata rende ancor più evidente. Promesse false e demagogiche, commenti al fulmicotone, accuse, comportamenti ipocriti, parole che valgono meno di una zucca vuota. Un accodo faticosamente sottoscritto che dopo poche ore viene smentito e diventa carta straccia. Tanto nessuno si ricorderà domani di quello che è stato detto ieri. Tutti parlano, gridano, strombazzano, esagerano nei toni e nelle parole per richiamare l’attenzione; protagonismo insensato e ingiustificato. Parole in libertà che non impegnano nessuno.

La parola data non tiene più insieme le persone: quando viene meno la convenienza, un impegno preso può essere cambiato. Le cose che si dicono non implicano il rispetto della verità. Negli anni i cattivi maestri hanno insegnato che è vero solo ciò che raggiunge l’effetto. A prescindere da ogni referenza con il reale. Che cosa sono le fake news se non la traduzione digitale dell’uso cinico e strumentale delle parole?. Se si lancia sui social una notizia falsa, caricandola di emotività e provocazione, il suo impatto comunicativo sarà comunque superiore alla rettifica che seguirà. Perché non provarci?. Saper dialogare per arrivare a intendersi è un’arte sempre più rara. E così si moltiplicano i litigi che alimentano l’estenuante conflittualità tra chi si dovrebbe occupare del bene comune. Fino ad alimentare le tante guerre che insanguinano il mondo. Viviamo in mezzo a un vero e proprio inquinamento comunicativo. Così, non sapendo più a chi credere, c’è chi cede alla tentazione di rintanarsi in nicchie chiuse dove si ascoltano solo quelli che la pensano allo stesso modo. Altri si fanno ammaliare da slogan che semplificano troppo.

O addirittura da parole cariche di odio e di violenza. Nel flusso ininterrotto delle parole che, prive ormai di significato, passano senza lasciare traccia è la stessa idea di sfera pubblica il primo bene comune che viene perduto. Lo si vede in questi giorni di campagna elettorale: Calenda che si rimangia il patto elettorale sottoscritto due giorni prima. Azione e Italia Viva che si alleano per creare un terzo polo politico, ma non si fidano l’uno dell’altro. Letta che negozia con tutto il sottobosco politico per irrobustire un Pd perdente sulla carta e renderlo competitivo nel confronto/scontro con la Meloni e Fratelli d’Italia.

Berlusconi che, aggiornando il suo vecchio slogan, promette «un milione di alberi». Salvini che se la prende con i migranti. Meloni che si dice pronta a risollevare l’Italia, senza però dire come e con quali soldi.  I tre che con toni diversi parlano di flat tax (al 23, al 15, incrementale), ma non spiegano quali servizi taglieranno per finanziarla. La sensazione è che i programmi siano elenchi di promesse che nessuno realizzerà mai, sono solo proclami elettorali e le alleanze tra i partiti siano facciate che nascondono gelosie, rivalità, antagonismi. Destinate a disfarsi davanti alle prime curve della legislatura: come la coalizione di centrodestra, che mentre si dichiara unita a Roma, affila i coltelli in perfetta contrapposizione tra loro per la candidatura di Palermo.

……Berlusconi che, aggiornando il suo vecchio slogan, promette «un milione di alberi». Salvini che se la prende con i migranti. Meloni che si dice pronta a risollevare l’Italia, senza però dire come e con quali soldi.
Altrettanto si può evidenziare una critica alle promesse che fa la Sinistra da parte di
Enrico Letta segretario del PD:
– L’assegno di 10 mila euro agli studenti universitari da recuperare dalla tassazione ai redditi più alti;
– lo stipendio della 13esima mensilità ai lavoratori
– la scuola materna di Stato estesa a tutti con assunzioni di maestre e strutture che in realtà non ci sono e poi un altra tassa sull’eredità…
Ecco il limite per tutti i Partiti, a nostro avviso, non spiegare la sostenibilità finanziaria e non dire quali tagli dei costi apportare nella Pubblica Amministrazione per non perdere consensi elettorali sapendo che e’ il vero bubbone del nostro Paese a livello di benchmarking internazionale nel rapporto tra costo totale e servizio reso al cittadino

Nasce da qui la sfiducia diffusa nei confronti della politica parolaia, che parla sempre, ma combina poco. Le conseguenze possono essere molto pericolose per la democrazia. Perché laddove si smette di credere al valore vincolante delle parole, di assumersi la responsabilità di quello che viene detto, di condividere un senso che permette di dare una direzione le derive autoritarie sono sempre li dietri l’angolo. E comune a quello che facciamo, è il potere di fatto che alla fine si impone. Senza giustificazione e legittimazione. Dissolta ogni critica nella confusione del flusso infinito delle opinioni equivalenti, è il potere di fatto, nella sua brutalità, ad affermarsi. Non si trova forse qui la ragione delle tante disuguaglianze, violenze, ingiustizie che sembrano delineare situazioni immodificabili e che perciò sembra addirittura impossibile mettere in discussione? È una malattia che si infiltra un po’ in tutte le democrazie contemporanee. A partire dagli Stati Uniti d’America, che non sono mai stati così fragili. Ma che in Italia, a causa della debolezza delle nostre istituzioni, è particolarmente grave. Logos (parola) viene dal verbo greco legein – che significa raccogliere, rilegare. In italiano questa radice etimologica la ritroviamo in legare, rilegare, ma anche in religione.

E infatti attraverso la parola che è possibile ricostruire un senso, stabilire e mantenere delle relazioni, decidere di percorrere una strada insieme agli altrimenti, ricomporre una divergenza. Senza la parola diviene impossibile allearsi, promettere e persino intendersi. Il problema è che la parola, per non essere vuota e così annichilire la realtà, esige disciplina. L’idea che la parola sia puro strumento distrugge le relazioni, il senso, il mondo. È invece la parola che ci fa esistere come persone e che ci costituisce come società. Per questa ragione è indispensabile pretendere da coloro che si candidano a gestire la cosa pubblica il rispetto dell’intimo legame che esiste tra le parole che si dicono, quello che si conosce e quello che si fa. Ma anche noi come elettori abbiamo delle responsabilità. Prima di tutto educandoci a non esporci a tutto, a qualunque cosa. Prima di accendere la tv o entrare nei social, verifichiamo le fonti.

E impariamo ad alternare la confusione e il rumore con il silenzio e la riflessione. E poi ricordandoci che è quando siamo isolati che siamo perduti. Il discernimento è sempre il portato di una comunità di pratiche, di una vita associativa, di una esperienza partecipativa. La realtà può essere interpretata insieme. Solo con gli altri possiamo mettere alla prova le parole che usiamo e che sono usate da chi, troppo spesso, ci vuole abbindolare. Per salvare la democrazia, occorre una nuova ecologia della parola.

Marcario Giacomo

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