Interviste & Opinioni

Ad ovest di Allah

Di Daniela Piesco Co-Direttore Radici 

Diventati ‘Dei’i vulcani, i mari, il sole e la luna, la guerra e l’amore  e ‘Semidei’i fiumi, i monti e le selve, le aurore e i venti , tutte divinità imperscrutabili nelle cui mani stanno i destini del mondo, da rabbonire con offerte e sacrifici per guadagnarne il favore , restavano gli uomini i fattori di rischio da cui guardarsi.

Gli sconosciuti, dai quali non si può sapere, appunto perché tali, che cosa aspettarsi.

Il razzismo è un sentimento atavico che affonda le radici nella preistoria dell’umanità e rammenta l’arcaica diffidenza verso tutto ciò che, essendo nuovo, estraneo, diverso e sconosciuto, rappresenta una fonte di pericolo da trattare con cautela finché non si riesca a neutralizzarlo. Un istinto primordiale che è servito a difendere i nostri antichi progenitori dai pericoli di un mondo inesplorato che ne metteva continuamente a rischio la vita.

Ma oggi?Viviamo in una società razzista?Che posto occupa questo modo di sentire nella vita quotidiana?

La sola colpa di essere nati

È sintomatica la scelta fatta dal Miur di inserire una traccia sulla storia di Liliana Segre ,agli esami di maturità 2022 ,su questa donna eccezionale, testimone e superstite dell’Olocausto: la traccia sulle leggi razziali chiedeva l’analisi di un brano tratto dal libro scritto da Gherardo Colombo e la stessa senatrice “La sola colpa di essere nati”.

Per di più ,oltre al brano del suo libro, agli studenti sono state date delle domande guida per svolgere il tema.

Una di queste, chiedeva ai ragazzi di spiegare il perché, nel suo racconto,fosse paragonata la sua esperienza,determinata dalle leggi razziali, al gioco infantile del «bambino invisibile».

A tal proposito ricordo le parole della senatrice:

«Quando sei espulsa dalla scuola a 8 anni non perché hai fatto qualcosa di male ma soltanto perché sei ebrea, le altre bambine ti considerano invisibile».

Il razzismo nasce dall’ignoranza

Il razzismo nasce (purtroppo) per ignoranza, ma quando si vedono le condizioni di migliaia di persone in condizioni disperate o che vengono sfruttate si deve imporre alla nostra coscienza la necessità di intervenire nell’aiuto, soprattutto nell’emergenza, anche se in noi stessi scatta la protesta per la mancanza di regole sia nell’immigrazione che a volte per i comportamenti di chi è accolto.

Non si riflette abbastanza sul fatto che il razzismo ,in gran parte, sparirebbe se gli arrivi (e i successivi soggiorni) fossero filtrati dalla legalità e se chi arriva si adeguasse a comportamenti, principi, atteggiamenti, leggi del paese che accoglie.

Sul traffico umano si campa e pensiamo alla mafia nigeriana, agli scafisti, al “giro” legato spesso a cooperative di dubbia serietà, allo sfruttamento della mendicità e alla disperazione di chi la vive per sopravvivere.

Inoltre , come sappiamo gli “ospiti” dei centri di accoglienza (migranti lavoratori, rifugiati e altri ancora) formano soltanto un amalgama di individui e gruppi separati, con status e situazioni sociali non sempre condivisi, accanto anche a tutta una serie di differenze negli itinerari personali e nei progetti diasporici. Si tratta di luoghi spesso tristi e fatiscenti all’interno dei quali convivono magari anche forme di condivisione ma marcate da nostalgia o progettualità interrotte.Nel caso dei richiedenti questo pare assolutamente non conforme al principio del diritto comunitario, secondo il quale “i richiedenti asilo possono circolare liberamente nel territorio dello Stato membro ospitante o nell’area loro assegnata da tale Stato membro”.

Ad ovest di Allah

Non è solo o almeno non è soltanto il colore della pelle ad auto-discriminare, ma molto più spesso è la religione e lo sfruttamento economico ossia la mancanza di diritti umani minimi rispettati a livello planetario.

Ad Ovest di Allah è un libro scritto da Gilles kepel( direttore di ricerca presso il prestigioso Cnrs di Parigi e beniamino dei media francesi)nel 1996 in cui osservava lo sviluppo dell’Islam negli Stati Uniti, Gran Bretagna e in Francia. In ogni Paese, egli rilevava che l’Islam prosperava nel contesto di una percepita “cittadinanza negata” che conduceva chi era svantaggiato a far valere le proprie rivendicazioni sociali e politiche attraverso una formula religiosa.

Così l’Islam è “al centro” dei tentativi degli afro-americani di trovare un posto nella società più ampia e ha pressappoco la stessa funzione per gli immigrati in Gran Bretagna e in Francia.

Sebbene Kepel fosse un ricercatore abile, la singolare teoria da lui formulata lo porta a incappare in alcuni evidenti errori tra i quali quello  a vedere l’Islam  solo come un fenomeno puramente ‘nero’ che lo induce ad ignorare del tutto i più numerosi immigrati musulmani e a trasformare la Nazione dell’Islam in un movimento molto più importante di quello che realmente è. (Lui lo considerava “un importante contributo all’espansione mondiale dell’Islam alla fine del XX secolo” come pure “un sintomo della disintegrazione del sistema sociale degli Stati Uniti”.)

Senza regole rispettate cresce poi anche la demagogia..

Senza regole rispettate cresce poi anche la demagogia, soprattutto se la lettura ufficiale e “politicamente corretta” dei fatti fa scattare la reazione negativa di milioni di persone che nel loro intimo diventano “razziste” proprio perché chiamate a sopportare costi di accoglienza e mantenimento senza ottenere reciproco rispetto, sicurezza e osservanza delle leggi della Repubblica.

I media, al di là di ogni Carta e di ogni codice deontologico, sono imprese che vendono informazioni, anzi sensazioni. Questo è ormai il tratto generale.

Personalmente non so cosa voglia dire “informazione onesta”, casomai “obiettiva”.

L’informazione obiettiva certo esiste e resiste ancora ma bisogna cercarla. Nei media mainstream è merce sempre più rara.

Essere cittadini consapevoli deve essere patrimonio di tutti, diritto di tutti, dovere di tutti

In principio era il Verbo. La vita è fondata sulla parola. Sulla conoscenza. La vita è l’arte dell’incontro, diceva il poeta brasiliano Vinicius de Moraes. La parola è il mezzo per questo incontro.

Allora il mio è un invito esplicito a reinventare insieme concetti ormai abusati , e quindi vuoti , di cittadinanza e comunità, per ricrearli e dotarli di nuovo senso e nuove pratiche attraverso processi di negoziazione reciproca e di pensiero condiviso ma anche attraverso processi di politica dal basso.

Oggi si rende necessario più che mai ragionare insieme sul concetto di una comunità aperta e inoperosa nel senso che non vuole fare opera, costruire codici fissi e regole definite una volta per tutte.

Una comunità diasporica in costante divenire, frutto di processi di articolazione e di ascolto reciproco.

La migliore immagine della comunità di oggi è la città contemporanea: luogo di mescolanze, labirinto senza fine, gioco di innesti e mercato incessante di opportunità, dove tutto pare accadere in modo inatteso e insperato.

Con i suoi luoghi aperti e sbarrati, nascosti e accessibili, la città è infatti la metafora migliore per descrivere l’apertura comunitaria, le sue ambivalenze, le mille contraddizioni ma anche la sua infinita ricchezza.

La forza di chi non ha scelta

Fermarsi alla polemica sui singoli sbarchi non è la prospettiva migliore per affrontare il tema dell’immigrazione. Governare il fenomeno richiede nuove politiche in Italia e nella UE. E una ridefinizione delle basi economiche del rapporto Europa-Africa.

Si dice spesso che occorre superare un approccio emergenziale e che l’immigrazione è un fenomeno che deve essere governato, ma poi il dibattito sembra polarizzarsi sulle due ipotesi estreme. Tra le due fazioni (“a favore” o “contro” l’immigrazione) dovrebbe esistere una terza strada, meno ideologica: quella della gestione dei fenomeni e della programmazione a medio-lungo termine.

E ricordiamocelo che chi non ha scelta, può solo sopravvivere e, quando possibile, diventare migliore. Chi non ha scelta non conosce la disperazione o comunque non parte da quella perché sa che la speranza è il suo miglior alleato.

Un aiuto in questo complicato quadro possiamo trovarlo se allarghiamo lo sguardo

Il concetto di uguaglianza è positivo solo fra gli umani, mentre in natura la diversità è il fattore di successo, quello che consente la sopravvivenza e l’evoluzione delle specie che entrano in relazione tra di loro creando ecosistemi equilibrati. Dunque, forse il vero problema è che non siamo sufficientemente attrezzati a comprendere e valorizzare la diversità, la differenza fra gli umani. Non parliamo di accettare, ma di capire le grandi potenzialità non solo di sopravvivenza, ma di evoluzione e innovazione che sono legate alla ricca varietà degli umani e delle società che hanno costruito. Ecco, credo che “Uguaglianza” per me significhi comprendere e ricercare “il valore delle differenze”.

Ma purtroppo mi tornano alla mente le parole di Indro Montanelli:“Siamo tolleranti e civili, noi italiani, nei confronti di tutti i diversi. Neri, rossi, gialli. Specie quando si trovano lontano, a distanza telescopica da noi.”

Daniela Piesco Redazione Corriere Nazionale

Redazione Stampa Parlamento 

pH Micha Franke

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