Politica internazionale

Italia bacchettata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di violenza familiare!

Avv. Giovanna Barca – Le Avvocate Italiane

Ennesima condanna dello Stato italiano da parte della Cedu in materia di violenza familiare nel caso De Giorgi c/ Italia, procedimento n. 23735/19, sentenza del 16 giugno 2022.

A pochi mesi dal caso Landi, e dopo la famosa sentenza sul caso Talpis, l’Italia si trova nuovamente a subire una condanna da parte della Corte di Strasburgo per un caso legato alla violenza sulle donne.

Questa volta si parla della violenza subita da una padovana, sig.ra Silvia De Giorgi, madre di tre figli, la quale si era rivolta alla CEDU accusando le Autorità Italiane di aver violato l’art. 3 della Convenzione dei diritti dell’Uomo che vieta i trattamenti inumani e degradanti, e dunque, di non aver fatto il necessario per proteggerla dalla violenza domestica da parte dell’ex marito violento, nonostante le sette denunce presentate nel corso degli anni dal 2015 al 2019.

Infatti, tra il 2015 e il 2019, la sig.ra De Giorgi ha denunciato 7 volte il marito, da cui era separata dal 2013, per averla minacciata di morte, colpita con un casco, averle messo telecamere in casa, perseguitata, seguita e molestata, per non aver pagato gli alimenti e aver maltrattato i tre figli.

Nella sentenza della Corte di Strasburgo si legge che, nonostante i rapporti dei Carabinieri, dell’ospedale, e anche dei servizi sociali contenessero le prove di quanto la donna accusava, i magistrati incaricati di valutare il caso non hanno preso alcuna iniziativa per rispondere alle denunce della donna, e la loro inazione, afferma la Corte di Strasburgo, ha creato “una situazione di impunità” per l’ex marito, che deve essere ancora processato per un atto violento commesso il 20 novembre del 2015, mentre restano in sospeso le inchieste sulle denunce che risalgono al 2016.

La Corte, nella pronuncia, rileva che “…mentre i carabinieri hanno reagito senza indugio alle due denunce che la ricorrente ha depositato nel novembre 2015,  mentre i pm dal canto loro, più volte informati dai carabinieri, non hanno chiesto al Gip la misura cautelare richiesta dai carabinieri e non hanno svolto una rapida ed efficace indagine, dato che a sette anni dai fatti il procedimento è ancora pendente in primo grado». In più «l’indagine sui fatti denunciati tra il 2016 e il 2017 è ancora pendente e nessuna indagine, invece, è stata svolta a seguito dei maltrattamenti denunciati dai servizi sociali nel 2018”. Insomma, ritardi si sommano a ritardi.  Inoltre, prosegue la Corte, nel febbraio 2018, dopo che i servizi sociali hanno denunciato i maltrattamenti subiti dai minori (che la ricorrente aveva denunciato in diverse occasioni nelle sue precedenti denunce), “non sono stati presi provvedimenti investigativi”. La Corte ribadisce che “non rientra nella sua competenza sostituirsi alle autorità nazionali e fare una scelta al loro posto tra le misure da adottare. Ritiene tuttavia che, alla luce dei numerosi elementi a disposizione delle autorità, la Procura della Repubblica adita nel novembre 2015 avrebbe potuto svolgere un’indagine più rapida sull’episodio del 20 novembre 2015 e sulle altre denunce della ricorrente”.

La Corte sostiene, inoltre, che “le autorità nazionali sapevano o avrebbero dovuto sapere che esisteva un rischio reale e immediato di violenza nei confronti della ricorrente a seguito della violenza commessa da L.B. e avevano l’obbligo di valutare il rischio della sua ripetizione e di adottare misure adeguate e sufficienti per proteggere la ricorrente e i suoi figli». In più «sulla base delle informazioni che erano note alle autorità al momento dei fatti e che indicavano che esisteva un rischio reale e immediato di ulteriori violenze contro la ricorrente e i suoi figli, di fronte alle accuse del ricorrente di escalation della violenza domestica, le autorità non hanno esercitato la dovuta diligenza. Non hanno effettuato una valutazione del rischio di maltrattamento che avrebbe specificamente preso di mira il contesto della violenza domestica, e in particolare la situazione della ricorrente e dei suoi figli, e che avrebbe giustificato misure preventive concrete per proteggerli dai danni di un tale rischio. Ritiene pertanto che le autorità siano venute meno al loro obbligo positivo ai sensi dell’articolo 3 di proteggere la ricorrente e i bambini dalla violenza domestica commessa da L.B”.

Questa sentenza sicuramente fa notare che, ancora una volta, che, in Italia, la strada da percorrere nella lotta contro la violenza è ancora lunga e faticosa, e bisogna che vi sia una sensibilità più forte da parte degli operatori della giustizia: spesso, gli stessi nei procedimenti di violenza, non valutano attentamente il rischio reale e non riconoscono veramente la violenza, così come difficilmente prestano attenzione alla successione degli episodi che si susseguono, tipici proprio dei casi di violenza domestica.

È importante riconoscere rispetto e giustizia alle donne, sia quelle che hanno avuto la fortuna di sopravvivere, che quelle che non ci sono più, per quanto possibile, per dare la possibilità di far sentire la loro voce e vedere restituita quella dignità perduta dopo anni di maltrattamenti ed umiliazioni subite da parte dei loro ex uomini.

Concludo con Il post di Silvia De Giorgi su Instagram: “Ti racconto una storia, fatta di costruzione e ricostruzione. Lo sai cos’è una famiglia ricostruita? E’ qualcosa di incredibilmente prezioso. E’ un viaggio in barca a vela, attraverso mari calmi e poco dopo onde altissime E’ un viaggio che arriva dopo aver affrontato il maremoto senza perdere la voglia di viaggiare. E’ un dono inestimabile, che regala a ognuno dei membri della ricostruzione la possibilità di avere ciò che si è’ sempre sognato “.

Riflettiamo…

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