Un pianeta armato ed agguerrito
di Vincenzo Olita*
Già, il nostro, e lo è come non mai. Caduto il muro di Berlino, disciolta l’Unione Sovietica con la conseguente scomparsa del Patto di Varsavia, come propugnatori di liberalismo, di società aperte e di un ordine spontaneo, ci aspettavamo, almeno in Europa, un’era di ordinata coesistenza, invece ci ritroviamo nel bel mezzo di una guerra, evitabile solo se gli europei avessero potuto disporre di un’avveduta e accorta classe politica.
Il generale Karl von Clausewitz amava ricordare che “Vi sono pochissimi uomini, e sono le eccezioni, capaci di pensare e sentire al di là del momento presente”. E non è certamente il caso della dirigenza europea:al di là della propaganda e della retorica in pochi, purtroppo, ci si rende conto della modestia del pensiero politico della tedesca von der Leyen, del belgaCharles Michel,dello spagnoloJosep Borrell,della malteseHelena Dallio degli italianiGentiloni e Tajani.
Molti buoni sentimenti, profondi proponimenti, ma la capacità politica diplomatica è altra cosa, a meno che non ci si accontenti del semplice mantra sugli aggressori russi e gli aggrediti ucraini che occorre sostenere indipendentemente da qualsiasi altro ragionamento.
Quando durerà il conflitto? Quali i costi umani? Quali i possibili risultati finali della guerra? Quali le ripercussioni sul continente? Interrogativi del tutto irrilevanti; per ora basta sapere, alla Mussolini, che occorre Vincere e Vinceremo.
Tralasciando le ragioni e le cause all’origine del conflitto ucraino, occorre ragionare sul futuro del pianeta, possibilmente lontani da coinvolgimenti emotivi e sentimentali, dando spazio a ragionamenti veicolati da conoscenze storiche politiche.
Intanto in Europa, meno negli USA, si sragiona su tutte le vere e presunte difficoltà russe, ma non vi è traccia, nella comunicazione occidentale, di contraddizioni e fallimenti della grande alleanza, ad esempio: Il 3 gennaio il cambio rublo/euro era 84,12, occorrevano 84 rubli per ricevere un euro; il 23 febbraio il rapporto era 94,90; il 28/2 era 122, tra l’entusiasmo degli alleati; il 7 marzo il cambio raggiunge 148, euforia occidentale: il crollo del rublo, questione di ore, Putin travolto dalla sua stessa moneta. Il 6 maggio il rapporto rublo/euro è a 70. Il silenzio è tombale! Una parte delle sanzioni ha prodotto un effetto inverso: il rublo è più vigoroso rispetto all’inizio del conflitto. Stessa tendenza per dollaro/euro, che passa da un cambio di 1,13 il 24 febbraio a 1,05 il 6 maggio. Ambedue, i veri duellanti, rafforzano le proprie valute rispetto alla distratta Europa.Così come non è di dominio pubblico che centinaia di aziende europee continuano a operare in Russia afronte degli svariati pacchetti di sanzioni annunciati dall’Ue, la cui coerenza e dignità politica sono salvaguardate da un interessato silenzio.
Ritornando al pianeta, in questi mesi si contano 59 conflitti, con un incremento della militarizzazione: a parte i missili nordcoreani, siamo alla spartizione delle isole del Pacifico in zone d’influenza tra cinesi e americani. Le Figi e le Samoa, dopo aver interrotto le relazioni con Taiwan, hanno raggiunto intese per accordi di sicurezza con Pechino. Impensabile, solo qualche tempo addietro, considerare aree strategiche isole del Pacifico meridionale. Il mondo, insomma, si divide, si schiera e si arma a ogni latitudine.
Pensiamo, ancora, alla presenza cinese in Africa, iniziata da decenni essenzialmente come penetrazione commerciale: oggi la ritroviamo nel realizzato grande porto militare di Gibuti, punto focale della sua presenza nell’oceano Indiano. Così come gli ottimi rapporti con la Guinea Equatoriale hanno permesso alla Cina l’utilizzo del porto di Bata nel golfo di Guinea, assicurandole così anche una base sull’Atlantico. Non a caso, varie fonti, compresa la statunitense, segnalano ormai la grande potenzialità della marina cinese.
Allora, se siamo innanzi a un’accelerata intensificazione dell’impegno militare, siamo in grado di chiederci l’origine, la ragione e gli sviluppi? Alle prime due è agevole rispondere. Finita la contrapposizione est-ovest con lo scioglimento dell’Unione Sovietica, superato un periodo di disordine in vari teatri, si è andata concretizzando una forte e accesa dicotomia tra le due sponde del Pacifico per laleadership mondiale. È questo lo scontro, per ora non militare, che ormai determina schieramenti e riposizionamenti diplomatici, politici e militari in ogni quadrante del globo. È una pericolosità affatto avvertita dalla pubblica opinione, anche distratta da vari diversivi tra cui la guerra in Ucraina, presentata come necessaria difesa di quel Paese. Certamente, lodevole impegno e lo sarebbe ancor più se fosse stato chiaro che agli USA interessa poco della libertà a Kiev, essendo il suo obiettivo solo l’indebolimento e l’isolamento della Russia.
Illuminanti le dichiarazioni dell’improvvido Stoltenberg, Segretario Generale della Nato: “Per la prima volta “il concetto strategico” della Nato riguarderà la “minaccia” dalla Cina e la stretta collaborazione tra Pechino e la Russia.La Nato pensa a un esercito permanente ai confini dell’Europa“. Sulla stessa linea le affermazioni del capo delle Forze armate statunitensi, Mark Milley: “quello che la Russia ha avviato è un conflitto molto esteso e penso che la Nato, gli Stati Uniti, l’Ucraina e tutti gli alleati e i partner che stanno sostenendo l’Ucraina vi saranno coinvolti per un po’ di tempo. Occorre creare basi stabili individuate come ciclo di forze di spedizione attraverso basi permanenti avanzate”.
Indipendentemente, quindi, da quando e come finirà la guerra in Ucraina, la Nato non contempla una fine del contrasto con la Russia; anzi lavorerà per uno stato di tensione permanente, in linea del resto con quanto si va delineando in vari parti del pianeta, a riprova della necessità per gli USA di comprimere quanto più il maggior alleato della Cina in vista della risoluzione del nodo Taiwan e dell’affermazione di una leadership planetaria.
Qualcosa di questo scenario è stato compreso in Europa? Crediamo di no. A parte la Merkel che aveva una buona visione geopolitica, e i piccoli calcoli contingenti di Macron, “NATO in stato di morte cerebrale” (2019), oggi ricreduto, in quanto proteso verso la leadership Ue, nessuno sembra aver compreso che tipo di partita stanno giocando gli atleti europei, con allenatori e staff tecnico statunitensi. L’Italia, poi, con l’eclissi dal palcoscenico internazionale, a parte la visita di cortesia alla Casa Bianca, del presidente Draghi, che solo pochi mesi addietro era stato individuato dall’informazione domestica come uno statista europeo e oltre, oggi, silenziosamente, è tra i più allineati alle volontà nord atlantiche.
Insomma, un Pianeta super armato e ancor più super agguerrito, inquietante per il suo futuro con un riarmo generalizzato che, purtroppo, è una corsa con pochi ostacoli.Chi potrebbe frapporsi e frenare questa irresponsabilità collettiva? Credo nessuno, non certamente l’ONU, di cui la comunità internazionale da tempo avrebbe dovuto proclamare l’estinzione, né il Pacifismo militante non in grado, non è il suo mestiere, di leggere e interpretare scenari.
La guerra in Ucraina, tra l’altro, ha comportato anche una profonda crisi dell’Ecumenismo: i capi religiosi non sono riusciti neppure a pregare unitariamente; anzi tra il Papa di Roma e l’Ortodosso di Mosca Kirill sono corse pesanti espressioni, frutto del loro abbeveramento agli inquinati pozzi della politica politicante. Anchele confessioni religiose sono armi spuntate come agenti di coesistenza, vittime della contrapposizione globale e non più in grado di veicolare alti richiami di fede per il rispetto della vita.
Convinti che tra le maggiori criticità vi sia quella di mentire a se stessi e, per non incorrere nell’errore, evidenziamo preoccupazione e timore per il prossimo futuro in un mondo in cui pochi sono i manovratori, a fronte di una moltitudine di tifosi. Tra i primi, statunitensi, cinesi, russi, banchieri, finanza internazionale, amici del World Economic Forum di Davos; gli altri, purtroppo, politici, esperti, improvvisati reporter di guerra, operatori della comunicazione, che a ogni crisi internazionale spiegano che questa sarà occasione per il rilancio dell’Unione europea, in linguaggio contemporaneo l’aspirazione è definibile come resilienza europea.
Ci sono speranze per un futuro diverso? Lo auguriamo. Agli europeisti in servizio permanente suggeriamo, che, con la fine della guerra, si potrebbe iniziare ad avanzare un progetto per la denuclearizzazione dei territori aderenti all’Unione. Forse l’Europa potrebbe avviarsi verso la ripresa di un ruolo di autorevolezza e guida. Ci ritorneremo.
Qualcuno interpreterà queste note come filo putiniane; noi continuiamo a essere, a credere e a muoverci nel solco del liberalismo, avendo come stella polare la realizzazione di società libere e con Julien Freund riteniamo di dover essere intolleranti nella difesa delle nostre ideein un mondo in cui primeggiano demagogia e feticci d’incomprensibili valori.
* Direttore Società Libera