Interviste & Opinioni

L’idea dello chef contro la carenza di grano ucraino: “coltiviamolo nei parchi”

Per lo stellato Pietro Leemann si può fare come in Svizzera durante la Seconda Guerra Mondiale

© annalisa cretella – Pietro Leemann

La guerra in Ucraina e il Covid con le sue conseguenze, possono portare a un cambio di mentalità. Anzi lo stanno già facendo: si va verso una “svolta sostenibile”.

Ne è convinto lo chef pluripremiato Pietro Leemann che ha raccontato l’AGI quello che definisce un nuovo “bilanciamento” tra il prendere e dare alla Terra. Lo chef di origine svizzera, è un pioniere di questo processo green.

Joia, il ristorante che ha aperto a Milano nel 1989, è vegetariano e al contempo gourmet. Un unicum, che nel 1996 ha ottenuto una stella Michelin, primo ristorante vegetariano in Europa ad avere questo riconoscimento.

Oggi con il conflitto che va avanti da quasi due mesi, lo chef si dice “preoccupato” per il fatto che mancherà il grano ucraino, finora importato in Italia, ma a tutto c’è una soluzione. La sua arriva dalle memorie di infanzia, quando dopo la seconda guerra mondiale nella Confederazione Elvetica si cominciarono a coltivare tutti gli spazi disponibili anche in centro città.

“Io negli anni ho sempre scelto biologico, e prodotti del territorio. La farina che uso è italiana e quella continuerà a esserci. A entrare in crisi è il cibo di livello più basso, tutte le farine che arrivavano erano di qualità inferiore rispetto alle farine italiane. Questo mi preoccupa sì – sottolinea -. Io faccio parte di un ceto culturale sociale medio alto, ma bisogna capire chi non può permettersi” di acquistare la nostra farina, che ha un costo più alto.

“Ogni crisi è un’opportunità. Vediamola come così, dando un sostegno a chi è in difficoltà

“Poi ci sono soluzioni a tutto. Mi ricordo mia nonna che ha vissuto durante la seconda guerra mondiale: eravamo in Svizzera e ci si metteva a coltivare. Si occupavano i parchi delle città per piantare il grano. Si può diventare sempre autonomi, però è uno sforzo che va pensato subito”.

Lo stesso ragionamento vale per l’approvvigionamento energetico. “Sono 20 anni che si parla di energia rinnovabile e si continua sempre a pensare allo stesso tipo di energia fossile, non ha nessun senso”.

Ci sono tante iniziative per i profughi ucraini, per integrarli nel mondo del lavoro. Lei ha qualche progetto per loro?

“Aiuto varie associazioni da tempo. Però vorrei che non ci fossero sono cittadini di serie A e di serie B. Così come oggi stiamo dando giustamente un peso alla guerra in Ucraina mi aspetterei fosse dato lo stesso peso alle guerre che ci sono state, dalla Siria alla Libia, al Congo dove sono morte 20 milioni di persone. Ciò che va cambiata è la mentalità all’occidentale selettiva e colonialista, questo lo dico a denti stretti, perché noi di fatto siamo stati consumatori di risorse e di culture. È quella la mentalità che va cambiata”. agi

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