I 60 anni della legge sulla scuola media
Di Daniela Piesco Co-Direttore Radici
The whole purpose of education is to turn mirrors into windows.
Lo scopo dell’educazione è quello di trasformare gli specchi in finestre.
Sydney J. Harris
Quest’anno ricorrono i 60 anni della legge sulla scuola media che per la prima volta introduceva un unico percorso scolastico per tutti gli alunni italiani fino a 14 anni.
L’istituzione della scuola media unica è certamente l’unico evento effettivamente innovativo nella scuola italiana,anzi la legge n° 1859/62 costituisce il più importante intervento riformatore nel settore scolastico dalla Costituzione in poi.
Se si guarda alla sua giustificazione di fondo, quale è recepita nella legge istitutiva , la scuola media unica vuole rispondere alle esigenze di una società democratica secondo i postulati di una eguaglianza di occasioni formative per tutti i cittadini.
Essa rappresenta indubbiamente una conquista non solo per la nostra legislazione scolastica, ma anche per la nostra società, nella misura in cui si realizza o intende realizzare quel concetto tipicamente moderno della popolarità della scuola e nella sua estensione a quanti più e per più tempo, che è insito nella pedagogia contemporanea più attenta alle esigenze della società.
La scuola media è fattore fondamentale di cultura nel nostro paese perché offre l’occasione e i mezzi, l’aspirazione e il metodo di giudizio per questo incontro fra esseri umani, che è intellettuale e sociale, basato ovviamente su nozioni e istruzioni specifiche, ma anche formativo e civile nel senso più ampio.
Vorrei brevemente ripercorrere le tappe fondamentali della sua nascita
La fine della guerra e la riconquistata libertà politica attivarono le forze democratiche del paese affinché si assicurasse agli operatori scolastici una dignità professionale e alla scuola stessa la completa autonomia operativa nella formazione di liberi e democratici cittadini.
Caduto il fascismo, infatti e terminata la guerra, nel 1946, l’Italia con un “referendum” scelse la Repubblica come forma di stato e si dotò di una nuova Costituzione, entrata in vigore 1° gennaio 1948
Alcuni degli articoli erano riservati all’istruzione e alla scuola.
Nell’art. 33 si proclamava la libertà dell’arte e della scienza e del loro insegnamento, ma, soprattutto si affermava che era possibile per i privati istituire scuola, ma “senza oneri per lo Stato”.
E nell’rt. 34, si affermava un obbligo di almeno otto anni e, dunque la scuola per tutti fino a 14 anni, il diritto di studio per capaci e meritevoli e l’impegno della Repubblica a rendere effettivo questo diritto con forme di assistenza economica.
Purtroppo si trattava ancora di una cornice senza quadro poiché l’aspetto positivo ne segnava anche il limite. Difatti, al centro veniva posto un intervento finanziario volto a sostenere e a favorire l’espansione quantitativa del sistema scolastico, non collegato ad interventi di riforma qualitativa dello stesso sistema.
Lo sviluppo economico e le conseguenti trasformazioni sociali premevano per un adeguamento, non solo quantitativo della scuola,concorreva soprattutto una spinta innovativa, in questo settore.
Si può considerare la riforma della scuola media quella del 1962 :dopo quattordici anni, si attuava la scuola dell’obbligo prevista dalla Costituzione
Dopo lunghe discussioni, durate vari anni, sui vari aspetti sociali, culturali e politici della questione e dopo il confronto tra differenti disegni di legge presentati dalle diverse forze politiche, nel dicembre 1962 fu approvata dal Parlamento la legge istitutiva della scuola media unica dell’obbligo.
Essa estendeva l’obbligo al quattordicesimo anno di età e unificava tutte le scuole successive alle elementari (medie, avviamenti professionali, ecc. ) in un’ unica scuola.
Nei travagliati dibattiti culturali e politici che portarono alla legge n° 1859 del 31 dicembre 1962 il problema del tipo di struttura (unica e differenziata) da dare alla scuola si era intrecciato con quelli inerenti le finalità educative e di formazione culturale da affidarle.
In In particolare, il problema se prevedere o meno l’insegnamento del latino inteso come elemento portante e simbolo della cultura umanistica, fosse presente nella preparazione di tutti, mentre gli altri lo avrebbero voluto riservare a un ramo scolastico differenziato ed altri ancora si chiedevano se, invece, esso non fosse superfluo o addirittura di ostacolo rispetto alla diffusione di unna cultura moderna in una scuola non specialistica.
Essendo, pero, lo studio del latino obbligatorio per l’iscrizione al liceo classico, la scelta che gli studenti dovevano compiere in proposito reintroduceva una differenziazione interna alla scuola media.
Nel momento in cui è fattore di cultura, la scuola media è anche fattore di democrazia
La scuola media, nel momento in cui favorisce la mobilità e l’interscambio fra le classi sociali, offre i mezzi per una consapevole presenza e partecipazione alla vita del paese. In altre parole, è al livello della scuola media che possiamo più propriamente comprendere come la scuola, oggi oltre che palestra intellettuale per così dire, abbia una fondamentale funzione di stimolo sociale e di preparazione civica.
La scuola media unica, infatti, risponde al principio democratico di elevare il livello di educazione e di istruzione personale di ciascun cittadino e in generale di tutto il popolo italiano, potenzia la capacità di partecipazione ai valori della cultura della civiltà e della convivenza sociale e di contribuire al loro sviluppo. Essa, secondo la legge istitutiva, “concorre a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione. e favorisce l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva”.
La fine degli anni Sessanta, con i grandi movimenti di protesta, le contestazioni studentesche, le mutate ideologie politiche, sociali e religiose, portò grandi rinnovamenti anche nel mondo della scuola, che da selettiva passò ad essere orientativa.
“Il mondo può essere salvato solo dal soffio della scuola”
(Talmud)
La risposta dei governi di centro-sinistra alla proteste studentesche, sul piano legislativo, fu l’emanazione dei Decreti delegati del 1974, che ridisegnavano il voltdella scuola secondo il principio della partecipazione, dunque, di una maggiore democratizzazione
Dei cinque decreti-delegati che ne derivarono, tutti pubblicati in data 31 maggio 1974, i primi due, cioè il 416 e il 417, introducono cambiamenti rilevanti sia nell’organizzazione complessiva della scuola, nella cui gestione vengono chiamante a partecipare le rappresentanze delle sue componenti interne ed esterne, sia specificatamente nella definizione della figura del docente, di cui si valorizza l’inserimento nella dimensione della collegialità.
Nella seconda metà degli anni Settanta la spinta al cambiamento della scuola continuò soprattutto a livello legislativo. Nel 1977, infatti, furono emanate due leggi importanti: la n° 348 e n°517 del 4 agosto 1977.
La legge n° 348 del 16 giugno 1777 mirava a rendere la scuola media più rispondente alla sua funzione orientativa, togliendo ogni pericolo di discriminazione; il latino come materia autonoma era abolito; si impegnava, inoltre, il ministro ad emanare nuovi programmi nei quali si curasse l’educazione linguistica e si potenziasse l’insegnamento dell’educazione scientifica, dell’educazione tecnica, dell’educazione musicale.
Più ampia e articolata è la legge n° 517 /77
La legge 517/77, una delle più avanzate in campo europeo e mondiale, costituiva un profondo salto per l’ordinamento scolastico:
-dalla scuola tradizionale, fatta dal singolo insegnante, si passa alla scuola come impresa collegiale di tutti gli insegnanti;
-dalla scuola, fatta solamente per gli alunni normali si passa alla scuola di tutti e per tutti normodotati ed Handicappati;
-dalla scuola del programma si passa alla scuola della programmazione;
-dalla scuola del voto di passa alla scuola della scheda.
L’adozione di un sistema valutativo non più legato ai voti, ma ad un giudizio articolato rispondeva all’esigenza di valutare l’alunno in rapporto alla sue possibilità, non la fine di certificare gli esiti ma di individuare le strategie e le metodologie più idonee al raggiungimento degli obiettivi educativi.
Negli anni Ottanta, se si esclude l’emanazione dei nuovi programmi per la scuola primaria (1985), non ci sono fatti significativi nel settore scolastico.
Ricchi, invece, di eventi e interventi scolastici furono gli anni Novanta. Sul piano normativo bisogna ricordare il Decreto legislativo n°297 del 16 aprile 1994 che approva il Testo unico delle disposizioni legislative e vigenti relative al mondo della scuola e la legge n°59 del 15 marzo 1997, cioè la “legge Bassasini” che sancisce e introduce l’autonomia scolastica.
L’immagine che deriva da questa serie di provvedimenti è quella di una scuola in movimento e in continua trasformazione.
Con la legge del 10 febbraio 2000, n° 30, “Riforma De Mauro- Berlinguer”, si è giunti al completamento dei provvedimenti normativi, che hanno portato all’innalzamento dell’obbligo di frequenza di età e, soprattutto, ad una ristrutturazione del percorso educativo degli alunni, La riforma dei cicli, differente da quello precedente, in quanto comprendente un ciclo primario della durata di sette anni , ed uno secondario di cinque anni.
Da questa legge ha preso l’avvio l’iter parlamentare che è approdato in maniera definitiva alla legge n°53 del 28 marzo 2003, comunemente nota come “Riforma Moratti”.
Che cosa resta, più di mezzo secolo dopo, dell’idea originaria di questa riforma che aspirava a ridurre le disuguaglianze e a garantire una migliore preparazione per tutti?
Quella che all’epoca fu una straordinaria conquista democratica (addio avviamento professionale per i figli dei poveri e ginnasio solo per i ricchi), oggi appare come un edificio sempre più pericolante: apprendimenti al minimo, disuguaglianze al massimo, la media promuove più o meno tutti, ma rinvia il problema al primo biennio delle superiori in cui esplodono le bocciature, anticamera dell’abbandono scolastico.
Ma nel Pnrr, dove pure il governo mette mano al sistema di formazione iniziale e di reclutamento degli insegnanti della scuola secondaria, non c’è traccia di una sua riforma.
Eppure lo stesso ministro Patrizio Bianchi ha riconosciuto che la scuola media, così com’è, «non è né carne né pesce» e che avrebbe bisogno di un profondo ripensamento.
Se non lo si fa ora, quando?
Daniela Piesco Co-Direttore Radici
pH Fernando Oliva