In Italia è tempo di Def
Cronaca & Politica

In Italia è tempo di Def

di Donatello D’Andrea

Mercoledì 20 aprile la Camera e il Senato hanno approvato una risoluzione presentata dai partiti di maggioranza sul Def del 2022, il principale dossier di programmazione finanziaria elaborato e presentato dal Presidente del Consiglio e dal Ministro dell’Economia ogni anno entro un giorno fisso, di solito il 10 aprile. Entro quella data, l’esecutivo trasmette il Def al Parlamento per un esame e l’approvazione tramite una risoluzione impegna il governo alla presentazione della legge di bilancio. Entro la fine di aprile, una parte di questo documento viene spedito alla Commissione europea e al Consiglio dell’Unione Europea.

Il governo aveva approvato all’unanimità il Def lo scorso 6 aprile, rivedendo al ribasso le stime di crescita dell’economia a causa della guerra. A settembre quelle per il 2022 erano quasi del 5%, ora sono del 3,1%. Per il 2023 erano del 2,8% e ora sono del 2,4%. Il contesto internazionale ha sicuramente inciso profondamente sulla revisione della crescita dato che la guerra in corso porta con sé conseguenze rilevanti come l’aumento dei prezzi dell’energia, degli alimentari e delle materie prima, l’andamento dei tassi di interesse e il dimezzamento della crescita dei mercati d’esportazione dell’Italia.

Prima di analizzare dettagliatamente il contenuto del documento e le posizioni dei partiti in merito, i quali in Parlamento hanno fatto delle richieste al governo di Mario Draghi, sarebbe utile tracciare un quadro che possa aiutare a comprendere la composizione del documento di economia e finanza.

Cos’è il Def

Come già ampiamente sottolineato, il Def è un testo programmatico che il governo, ogni anno, propone al Parlamento. I suoi contenuto rappresentano, in poche parole, la base per pianificare le strategie economiche e finanziarie da realizzare nel corso degli anni. La prospettiva degli interventi varia dal consolidamento delle finanze pubbliche agli indirizzi sul versante delle politiche pubbliche in un lasso di tempo variabile ma comunque di medio-lungo termine.

Il documento si compone di tre sezioni: il programma di stabilità (PS), le analisi e le tendenze di finanza pubblica e il programma nazionale di riforma (PNR – da non confondere con il più recente PNRR che è un’altra cosa). Il primo descrive il quadro macro-economico dello stato, gli obiettivi di finanza pubblica per gli anni successivi e le strategie di bilancio per raggiungerlo, tendendo conto della sostenibilità nel lungo periodo. Nelle analisi sono riportati i risultati e le previsioni dei principali settori di spesa, del conto di cassa del settore pubblico e del bilancio statale, oltre alla programmazione delle risorse destinate al programma di coesione territoriale. Infine, nel PNR, sono contenuti gli aggiornamenti della strategie di riforma in relazione al periodo in corso. Il PS e il PNR sono documentazioni richieste dall’Unione Europea, la quale li trasmette agli organismi di competenza per un controllo.

La presentazione del Def rientra nella fase programmatica del ciclo di bilancio. In questo periodo vengono fissati gli obiettivi da parte del governo, i quali dovranno essere raggiunti adottando delle misure nella fase successiva del ciclo detta “sessione di bilancio”. Gli strumenti di programmazione finanziaria, come il Def, assolvono alla funzione di informazione e di trasparenza delle azioni politiche del governo. Il documento viene inviato, poi, all’Unione Europea per ottenere delle valutazioni in merito (raccomandazioni), le quali sono integrate nella Nota di aggiornamento del Def che viene approvata entro la fine di settembre.

Come in ogni documento economico, all’interno del Def sono presenti delle stime fissate su indicatori macro-economici e di finanza pubblica che hanno la loro importanza nel definire le politiche economiche e di riforma dello stato. Questi sono raggruppati in due quadri: tendenziale e programmatico. Il primo analizza la situazione al netto delle manovre di finanza pubblica, il secondo incorpora gli effetti degli interventi della legge di bilancio. Gli indicatori sono necessari per indirizzare le strategie di riforma necessarie per raggiungere gli obiettivi preposti dal governo. Uno degli indicatori più importanti è il PIL, il quale permette di inquadrare la situazione di un Paese in base ai consumi, agli investimenti, alla spesa pubblica, alla bilancia import-export e alla tassazione.

Come si può facilmente intuire, il Def ricopre un ruolo molto importante all’interno della formazione del bilancio di previsione dello stato. Un ruolo che si rafforza se si inserisce la crescente armonizzazione dei processi economici a livello europeo. Da anni è in corso un tentativo di allineamento di norme legislative, doganali e amministrative da parte delle istituzioni comunitarie. Il Def si colloca al centro di quello che è definito “il semestre europeo“, cioè un periodo dell’anno in cui l’UE coordina le politiche economiche e di bilancio degli stati membri.

Cosa c’è nel Def

Stando alle previsioni, il margine di spesa per l’Italia nei prossimi anni sarà dello 0,5% del PIL nel 2022, dello 0,2% nel 2023 e dello 0,1% nel 2024. I fondi impiegati verranno utilizzati soprattutto per contenere il costo dei carburanti e dell’energia, per aumentare la possibilità di accesso al credito per le imprese e per integrare le risorse per compensare l’aumento del costo delle opere pubbliche. Inoltre, durante la conferenza stampa, Draghi ha annunciato nuovi incentivi per l’acquisto di veicoli ibridi, elettrici o a basse emissioni. L’altra previsione riguarda il rapporto debito/PIL, un indicatore che è sempre stato problematico per l’Italia. Il Def dice che quest’anno scenderà dal 150% al 147% e che negli anni successivi toccherà il 141% (nel 2025).

Mercoledì Camera e Senato hanno approvato una risoluzione di maggioranza, la quale integra il lavoro del governo attraverso delle richieste che invitano Palazzo Chigi a valutare delle misure economiche per contrastare la crisi generata dall’invasione russa dell’Ucraina, la quale si è abbattuta come una scure sui prezzi dell’energia, degli alimenti e delle materie prime. La richiesta più dirimente è sicuramente quella di uno scostamento di bilancio, un argomento su cui le formazioni politiche hanno a lungo discusso, dato che si tratterebbe di spendere di più di quanto pattuito nella legge di bilancio. Per l’Italia, ciò significherebbe maggiori indebitamento e quindi un deficit maggiore rispetto a quello previsto in precedenza.

La richiesta di spendere di più è stata osteggiata dalla Banca d’Italia, dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio e dalla Corte dei Conti, le quali giudicano l’ulteriore aumento della spesa come una misura non necessaria in questo momento, dannosa nel lungo periodo. L’aumento del debito pubblico è sempre un tema molto ostico per l’Italia, soprattutto in un periodo come questo, con in fondi del PNRR in arrivo e un’economia che si appresta al rilancio. Secondo i detrattori del debito pubblico, indebitarsi ulteriormente sarebbe un cattivo segnale per i mercati e una chimera per il futuro.

I partiti che hanno insistito per inserire la richiesta all’interno della risoluzione sono stati il Movimento Cinque Stelle e quelli di centrodestra. La formula verbale usata per parlare dello scostamento è stata piuttosto cauta, dato che lascia al governo la possibilità di valutare “questa ipotesi nel caso in cui si verifichi un peggioramento della situazione economica“. Tale prudenza deriva sicuramente dalla contrarietà manifestata dal governo nei confronti di misure di questo tipo. Lo stesso Daniele Franco, ministro dell’Economia, si è espresso più volte negativamente su un eventuale scostamento di bilancio, affermando che ci sia uno spazio di 5-6 miliardi per contrastare altri rincari.

Tra le altre cose, è interessante constatare come le spese militari siano sparite dal Def. Fino al mese scorso si credeva che gli investimenti in nuovi armamenti sarebbero entrati di diritto nelle previsioni governative, complici gli annunci e le notizie allarmistiche riportate sui giornali. D’altronde, la corsa al riarmo è una tendenza europea, la diretta conseguenza di un repentino aumento della minaccia russa ai confini. Nelle ultime settimane, però, si è assistito a un cambio di strategia: l’aumento delle spese militari è un obiettivo realizzabile anche progressivamente, fino al 2028. Dunque, l’Italia si allineerà alle richieste degli alleati (cioè il celeberrimo 2%) nel giro di 6 anni.

Questo cambio di paradigma è la conseguenza delle vive proteste e malumori di alcune frange della maggioranza di governo, le quali hanno sconquassato il già precario equilibrio del variopinto esecutivo di Mario Draghi. Giuseppe Conte, Presidente del Movimento Cinque Stelle, aveva preso una posizione molto dura contro l’aumento delle spese militari facendo intuire che, se costretto dalle circostanze, avrebbe ritirato la fiducia al governo. In realtà tale epilogo sarebbe stato problematico anche per le diverse anime del partito, come ad esempio l’ala governista di Luigi Di Maio.

Detto ciò, l’unico riferimento alle questioni militari nel Def è il seguente: “Oltre al già citato embargo in ambito militare, a metà marzo viene esteso al settore energetico il bando, già in vigore per aviazione e spazio, al trasferimento di beni e tecnologie che possano contribuire al rafforzamento o allo sviluppo della difesa“.

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