Conflitto tra poteri dello Stato
Le ragioni del senatore Matteo Renzi tra il rispetto della Costituzione e la difesa a tutti i costi della casta.
Premessa.-. Il carattere di rigidità della nostra Costituzione e la distinzione delle leggi in costituzionali e ordinarie hanno reso necessaria la previsione, nel nostro ordinamento, di garanzie volte all’osservanza, anche da parte dei poteri costituzionali dello Stato, dei limiti posti a tutela dei diritti dei cittadini.
Le norme costituzionali, proprio per il carattere di rigidità della Costituzione, hanno, nella gerarchia delle fonti di diritto, una posizione di preminenza rispetto alle leggi poste dal legislatore ordinario. Le norme costituzionali possono essere violate: (a) dal potere legislativo con l’emanazione di leggi che non rispettino i limiti posti dalla Costituzione; (b) da altri poteri dello Stato con atti in contrasto con i limiti loro assegnati dalla Costituzione con conseguente invasione nelle sfere di competenza di altri organi. Ergo, la nostra Costituzione ha previsto saggiamente garanzie contro ogni possibile violazione che possa verificarsi nell’attività dei diversi organi dello Stato.
Corte Costituzionale.-. Tra gli organi di garanzia costituzionale va annoverata la Corte Costituzionale che giudica: (a) sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; (b) sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; (c) sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione (art. 134 della Costituzione).
Conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato.-. La vicenda Renzi e la decisione del Senato di promuovere il conflitto di attribuzione tra la Magistratura e il Parlamento merita un approfondito esame delle norme invocate da Renzi, condivise dal Senato che ha deliberato di portare la questione davanti alla Corte Costituzionale. L’esame non può prescindere dalla rivisitazione delle sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione che si sono occupate delle questioni che qui interessano. Ma prima è necessario fare un accenno alla vicenda giudiziaria che ha provocato la reazione del senatore Renzi.
La magistratura di Firenze, durante indagini a carico di soggetti non parlamentari, acquisisce una serie di e-mail dell’agosto 2019 e estratti conti che riguardano anche il senatore Renzi. Dall’’esame di tali documenti emergerebbe che vi siano stati, da parte del senatore Renzi, finanziamenti illeciti, tramite la propria fondazione OPEN, a Italia Viva.
Analisi delle norme e della giurisprudenza alle quali si richiamano i p.m. di Firenze.-. Il senatore Renzi accusa i p.m. di Firenze di aver acquisito la documentazione informatica (e-mail, estratti conto) senza la preventiva autorizzazione del Senato ex art. 68, comma terzo, Costituzione). Tesi, questa, che si fonda sull’’assunto che le e-mail sarebbero da considerare corrispondenza, la cui acquisizione non sarebbe nella disponibilità dell’autorità giudiziaria senza il via libero del Senato, come prescritto dal terzo comma dell’art. 68 a garanzia della libertà dei parlamentari.
Ma è proprio così?
Secondo consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione i dati acquisiti dalla memoria del telefono in uso all’indagato (sms, messaggi whatsApp, messaggi di posta elettronica “scaricati” e/o conservati nella memoria dell’apparecchio cellulare) hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., di tal che la relativa attività acquisitiva non soggiace né alle regole stabilte per la corrispondenza, né tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche (ex pluribus, Cass. Sez. II, n. 8739/2013; Cass. sez. VI, n. 1822/2020). Precisa: “…tali testi non rientrano nel concetto di corrispondenza, la cui nozione implica un’attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito (Sez. 3, n. 928 del 25.11.2015).
Né, d’altra parte , può ritenersi trattarsi degli esiti di un’attività di intercettazione, la quale postula, per sua natura, la captazione di un flusso di comunicazioni in corso, là dove i dati presenti sulla memoria del telefono acquisiti ex post costituiscono mera documentazione di detti flussi”. A questa conclusione perviene dopo un’attenta e puntuale analisi sul regime di utilizzabilità delle intercettazioni casuali di un componente del Parlamento. Analisi contenuta specialmente nella sentenza n. 8739/2013, laddove, richiamando la Corte Costituzionale n. 390 del 2007, fa distinzione tra intercettazioni dirette, indirette, casuali o fortuite del parlamentare.
Ebbene, proprio la Corte Costituzionale prevede una diversa disciplina processuale a seconda che si tratti di intercettazioni dirette, per le quali è necessaria la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, o di intercettazioni indirette o casuali o fortuite, per le quali, trattandosi di accertamento posteriore, sarebbe del tutto impossibile richiedere la preventiva autorizzazione.
Argomentazioni confermate anche nelle successive sentenze nn. 113 e 114 del 2010. Ne segue che l’iniziativa del senatore Renzi potrebbe rivelarsi un boomerang che danneggerebbe anche la credibilità del Senato ormai già logorata per la difesa della casta anche quando le responsabilità dei suoi membri, per i quali è stata chiesta l’autorizzazione, risultava evidente. Comunque a noi non resta che confidare nella saggezza della Consulta che ha sempre deciso in conformità al dettato costituzionale.
Raffaele Vairo