Cronaca & Politica, Interviste & Opinioni

“Armiamoci e partite”

Ovvero “Del perché l’Europa sia un danno per l’Italia”

“Armiamoci e partite”, scrivevano i poemi di fine Ottocento1 per ironizzare sulla retorica militarista, all’indomani della disfatta di Adua.
“Armiamoci e partite”, ripetevano socialisti e neutralisti mentre il PNF incitava i giovani a combattere sempre ed ovunque per il regime.
“Armiamoci e partite”, pronunciava Totokamen2 per spingere i soldati tebani a combattere  Maciste, con «mortaretti, tricche tracchi e castagnole».

Scene già viste finite nei libri di storia quelle dei vari signori della guerra che, dietro le quinte delle proprie stanze ovali stracolme di carri e soldatini di stagno3, aizzano la spirale interventistica (multiforme e) suicida contro uno o più nemici del momento. Oligarchi stranieri che si occuperanno, a pallottole sparate, di scrivere quanto i valori germogliati dalle radici culturali di democrazie fragili e con diritti “necessariamente” compressi (gli stessi valori e diritti provati ad esportare) sono e resteranno i più democratici e giusti. Magari con in mano un fiore, o una croce, o una bandiera di colore arcobaleno.

Ad essi, che vivono, va benissimo qualsivoglia pretestuosa ragion di Stato altrui purché non intacchi la propria posizione, meglio ancora se funzionale anche a generare per i medesimi un profitto economico diretto o sul piano dell’indebolimento dello stato sociale.

Una pandemia come casus belli

Il “biennio pandemico” è stata più di un’incriminante prova dell’irrazionale ed aggressiva complicità tra governi mondiali – e mondialisti – e potere dell’alta finanza, uniti (almeno nei guadagni che ruotano) intorno ad uno sviluppo più inclusivo, più verde e meno discriminante, un futuro perfetto in nome del quale dilaniare un passato ed un presente di territorialità, di lavoro – oramai plurimercificato -, di fulcri sociali intergenerazionali, di istruzione e sanità pubbliche e di proprietà privata.

“I poteri economici sovranazionali” di cui qualcuno di molto importante faceva menzione – in Italia e pochi giorni fa – hanno in realtà convogliato e riprodotto su vasta scala i meccanismi degenerativi sdoganati nel tempo della stessa classe amministrativa statale, impregnata di personaggi folcloristici e “social” di dubbia formazione e provenienza politica, che per anni hanno alimentato i cancri del sistema democratico non curando (e fomentando) crisi, emergenze e cessioni/perdita di ruoli e competenze.

Il linguaggio comunicativo sdoganato in riferimento alla politica, veicolato nei media e nei talk show quotidiani a tema, è stato esso stesso volutamente concausa dell’abbattimento qualitativo del dibattito intorno ad ogni riferimento: istituzioni e stampa hanno agito spesso come capi di tifoserie più che come moderati e moderanti, alimentando con enfasi epopeica quegli istinti primordiali “di caccia al nemico” che il popolino ha innati e che fuoriescono in particolari situazioni, sapendoli poi prontamente incanalare nella “lotta all’arbitrio” e al disobbediente di turno, reo di sconfessare (o, semplicemente, di dubitare circa) il dogma tecnico-scientifico, applicato comodamente ad ondate.

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Consolidare le strategie di guerra in guerra

Da buon picchiatore il mostro propagandistico non si ferma se non al knock out.
Ed ecco ripreso l’incessante martellamento mediatico che affianca realtà a finzione, accostando i convenzionali codici di comunicazione bellica4 ai retorici elementi di utopia pacifista ed alla suggestione indotta da immagini di repertorio – talvolta prese dai videogiochi – e da toni di compartecipata sofferenza. Fioccano corrispondenti e servizi redatti da inviati sul “fronte caldo” che in realtà spesso passano le ore nelle hall degli alberghi cercando le traduzioni delle agenzie di stampa locali5, confezionando un pacchetto pronto da dare per cena ad opinionisti superficiali ed ignoranti (in materia) affinché orientino il pubblico affamato del “Cosa è successo oggi?”, poco conta se si parli di guerra o di Grande Fratello.

Dominare l’opinione pubblica invadendola, persuadendola e privandola della dialettica e dell’Informazione sulle scelte individuali e collettive – anche attraverso una stigmatizzazione repressiva della critica od addirittura una censura delle voci dissenzienti6 talvolta – risulta così essere propedeutico alla finalizzazione degli obiettivi preposti: impoverimento e controllo del raziocinio prima, dell’economia poi.

Le contraddizioni manifeste – per chi ha memoria – tra le piazze represse e svuotate dai manifestanti per impedire i contagi e rilanciare il commercio e quelle riempite, poco dopo, con sbandieratori interventisti pronti a legittimare qualsiasi investimento di risorse finanziarie in armi da destinare altrove – e che ritorneranno indietro sotto forma di costi economici ed umani7 – sono segno ed effetto di siffatta manipolazione di tipo militare.

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L’Europa confusa, o presunta tale

La tragic(omic)a cronologia degli eventi occorsi in poco tempo nel vecchio continente – creati, accompagnati o, semplicemente, ampiamente prevedibili – è di per sé indice dell’a-moralità europea sin dal principio (ricordiamo come i padri fondatori dell’Europa fossero personaggi aristocratici ed elitari8: la decantata progettualità di un esercito comune europeo, capace di muovere azioni belliche a chiunque “eletto” nemico esterno o classificato “interno” – monitorabile mediante blockchain sanitaria e prossimamente economica – ne smaschera la natura).

Il ribaltamento palese da un’ideologia acquisita, che voleva condannare il “suolo patrio9 come retaggio ottocentesco xenofobo in favore di una coesione universale globale coatta (nasce la generazione Erasmus) e di un concetto di omologazione di abitudini e tendenze – a scapito di talenti, specificità e vocazioni10 -, ad un più recente appello a «sacrificarci nel rispetto dei sacri confini di una nazione sovrana»11 (neppure europea) scopre tutte le carte utili ed utilizzate in questo doppiogioco sulla pelle, sulle identità e sulle tradizioni dei popoli e delle nazioni della UE.

Accettare come positiva o redentiva l’idea di un pensiero comune senza confini e senza fili spinati o muri12 – funzionale più che altro alla circolazione tossica di capitali e derivati – che legittima le delocalizzazioni selvagge e le migrazioni di massa (di individui, di popolazioni, di classi di lavoratori o di residenti espulsi dai centri storici) nonché l’esproprio di beni e territori comuni e di patrimoni artistici13, ha cancellato il senso delle differenze e della particolarità, oltre al diritto di scelta comportamentale secondo libera coscienza.

Sarebbe altresì più opportuno non scordare i nomi o le bandiere di chi ha invaso le nostre geografie umane14 intossicando i nostri spiriti, di chi ha depredato il patrimonio italico di desideri, magia e pulsioni, arrivando a promuovere l’occupazione della sfera privata a vantaggio di una pubblica (non ben specificata) in nome di fini morali, condannandoci di fatto all’impossibilità di qualsivoglia scelta libera nell’arco dell’esistenza15, vana o fruttuosa che sia stata.

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Liberamente ispirato dall’articolo di Anna Lombroso “L’Europa fa male all’Italia” pubblicato il 05/03/2022 su The Unconditional blog e consultabile cliccando qui.

Antonio Quarta

Note di riferimento:

  1. Se ne conosce un uso letterario nella poesia Agli Eroissimi del poeta ravennate Olindo Guerrini, che la incluse nelle Rime di Argia Sbolenfi, una silloge pubblicata nel 1897 con lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti (Fonte: Wikipedia);
  2. Personaggio interpretato da Totò nel film Totò contro Maciste, regia di Fernando Cerchio, del 1962 (Fonte: Wikipedia);
  3. cit. art. “L’Europa fa male all’Italia”, dett. in basso;
  4. cit. art. “L’Europa fa male all’Italia”, dett. in basso;
  5. sint. art. “L’Europa fa male all’Italia”, dett. in basso;
  6. sint. art. “L’Europa fa male all’Italia”, dett. in basso;
  7. cit. art. “L’Europa fa male all’Italia”, dett. in basso;
  8. sint. art. “L’Europa fa male all’Italia”, dett. in basso;
  9. cit. art. “L’Europa fa male all’Italia”, dett. in basso;
  10. cit. art. “L’Europa fa male all’Italia”, dett. in basso;
  11. cit. art. “L’Europa fa male all’Italia”, dett. in basso;
  12. sint. art. “L’Europa fa male all’Italia”, dett. in basso;
  13. sint. art. “L’Europa fa male all’Italia”, dett. in basso;
  14. cit. art. “L’Europa fa male all’Italia”, dett. in basso;
  15. sint. art. “L’Europa fa male all’Italia”, dett. in basso.

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