Draghi continua ad essere il principale candidato per il Colle
I partiti politici hanno però difficoltà a trovare un nuovo profilo per ricoprire il ruolo di presidente del Consiglio, capace di tenere le briglie del governo in un anno cruciale come promette di essere il 2022, con il Pnrr da attuare, la sfida al Covid ancora nel vivo e, non ultimo, il dossier della riforma del Patto di Stabilità europeo.
La partita per il Quirinale deve ancora cominciare, ma fra i partiti è già stallo. I nomi in campo – per tatticismo o per semplice assenza di opzioni valide – si contano sulle dita di una mano e nessuno di essi, al momento, sembra poter prevalere.
Il Partito Democratico sembra puntare le sue fiches sul presidente del Consiglio, Mario Draghi che, tuttavia, salendo al Quirinale lascerebbe sguarnito Palazzo Chigi, con il rischio di precipitare il Paese alle elezioni. Da qui il ‘lodo’ Letta: il segretario Pd ha proposto una doppia candidatura, per il Quirinale e per Palazzo Chigi, da mettere in campo con la più larga maggioranza possibile. Rimane da capire su quale nome si potrebbe convergere.
Difficile trovare un profilo ‘alla Draghi’ capace di tenere le briglie del governo in un anno cruciale come promette di essere il 2022, con il Pnrr da attuare, la sfida al Covid ancora nel vivo e, non ultimo, il dossier della riforma del Patto di Stabilità europeo.
Da questo punto di vista, l’ipotesi di eleggere un tecnico vicino a Draghi a Palazzo Chigi – si era fatto il nome del ministro dell’Economia, Daniele Franco – non sembra convincere tutti. Si tratterebbe, infatti, di quel “semipresidenzialismo di fatto”, viene fatto notare nel centrosinistra, “evocato mesi fa dal ministro Giancarlo Giorgetti”. Si ragiona, quindi, su un nome politico.
Nelle ultime ore è stato fatto circolare il nome del ministro della Cultura, Dario Franceschini, ma su di lui ci sarebbe già l’altolà del centrodestra, in particolare di Lega e FdI. I dem sono, inoltre, alle prese con le fibrillazioni interne all’alleato Cinque Stelle che rischiano di vanificare il “patto di consultazione” stretto fra Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza.
“È sempre difficile confrontarsi con loro”, si lamenta un dirigente Pd. Il riferimento è alla ‘fuga in avanti’ di Giuseppe Conte che, invocando il nome di una donna per il Quirinale, da una parte apre al centrodestra e dall’altra ‘brucia’ l’ipotesi Draghi. Una scelta che fa discutere, non solo fra i dem, ma anche in casa M5s dove la strategia del vertice del Movimento viene definita “schizofrenica”.
I vertici pentastellati sono però convinti che vada cercata un’intesa al di fuori del perimetro con il Pd e Leu. “Anche perché il Pd è da sempre – spiega una fonte M5s alla Camera – il partito del presidente della Repubblica, ma questa volta non può dare le carte”. Date queste premesse, l’unica convergenza possibile tra Pd e M5s sembra essere quella sulla conferma di Sergio Mattarella. Fra i dem c’è ancora chi ci spera e anche i pentastellati non abbandonano questa ipotesi.
Il ragionamento è legato alla diffusione di Omicron: non confermare lo status quo – questa la riflessione all’interno del centrosinistra – potrebbe comportare enormi difficoltà nella lotta al Covid. Il presidente della Repubblica ha fatto intendere più volte qual è la sua posizione: nessun secondo mandato. Ma c’è chi ritiene si possa votarlo già alla prima per far capire la ‘spinta’ del Parlamento in questa direzione. Questa sera, dopo il discorso del Capo dello Stato, la maggioranza dei parlamentari farà la corsa per tessere le sue lodi.
“Inviamo il nostro grazie a Sergio Mattarella: non tutti apprezzarono la nostra scelta di sette anni fa, tutti devono riconoscere che e’ stato un arbitro impeccabile”, scriveva poche ore fa Renzi nella Enews. E Giuseppe Conte, in un video postato su Facebook, sembra sottoscrivere: “Un particolare augurio al Presidente Mattarella per tutto quello che ha fatto sin qui per noi”. M5s comunque al momento non intende seguire la pista della candidatura Draghi.
“Non possiamo permetterci quattro mesi di interregno. Bisogna pensare alla lotta alla pandemia e al Pnrr”, sottolinea un ‘big’ pentastellato. Contro l’ipotesi Draghi c’è un fronte molto largo in Parlamento. Si attendono comunque le mosse dei vertici di partito e soprattutto quelle di Salvini. “Se volesse potremmo trovare l’accordo sul nome della Casellati o su Amato”, spiega una fonte di centrosinistra.
Ma sul secondo i leghisti sono tiepidi e in ogni caso sarà Matteo Salvini a portare avanti in prima persona le trattative. Unico punto fermo, per i pentastellati, è il ‘niet’ all’eventuale candidatura di Silvio Berlusconi, al momento unico nome concreto in campo. La ‘candidatura’ del Cav sembra riportare indietro le lancette dell’orologio, tanto da spingere di nuovo in piazza quel Popolo Viola nato un decennio fa proprio in chiave ‘No Cav’.
E così, Gianfranco Mascia e il resto del movimento si ritroveranno a Piazza Santi Apostoli il 4 gennaio, proprio il giorno in cui il presidente della Camera, Roberto Fico, fischierà l’inizio del gioco con la lettera di convocazione dei grandi elettori. Il tentativo di Silvio Berlusconi appare velleitario ai più.
E non solo negli schieramenti avversari. Pallottoliere alla mano, nella Lega e in Fratelli d’Italia (i primi a fare il nome dell’ex premier), si fa notare che franchi tiratori potrebbero nascondersi sia fra i fuoriusciti sia all’interno dei gruppi parlamentari di Forza Italia, fra quanti si sono sentiti esclusi dal ‘cerchio magico’ berlusconiano e temono che una eventuale elezione di Berlusconi al Colle possa portare in tempi brevi alle urne.
“Per questo motivo – spiega un esponente di Fdi – noi abbiamo chiesto di ragionare anche su un piano B”. Ma per ora non sono previsti schemi alternativi, il Cavaliere insiste, convinto che si possa provare sul suo nome alla quarta votazione. E anche i nomi – come per esempio quello dell’ex presidente del Senato Pera – che vengono sondati perfino dal Movimento 5 stelle non vengono considerati sul tavolo.
“Se dovesse saltare il nome di Berlusconi sarebbe difficile mantenere poi l’unità della coalizione”, dice un esponente di primo piano del centrodestra. Tutti gli indizi portano a Draghi. Ma senza garanzie per il proseguo della legislatura in pochi sono disposti a indicare il suo nome, anche se eventualmente dovesse essere proprio l’ex numero uno della Bce a tracciare la strada per il suo successore a palazzo Chigi.
Anche perché la Lega potrebbe sfilarsi. “Non prenderemo parte a un governo che sarebbe la riedizione di quello rosso-giallo, magari guidato da Letta”, osservava oggi un dirigente ex ‘lumbard’.
Il virus pesa sul voto al Colle
L’occasione per gli auguri di fine anno servirà ai leader anche a definire le trame in vista della convocazione del presidente della Camera Fico, in un clima di preoccupazione per l’alto numero di contagi. “Solo 400 deputati su 630 presenti per il voto sulla legge di Bilancio anche a causa della variante Omicron. Qualcuno”, si chiede il dem Stefano Ceccanti, “che può decidere sta pensando a come eleggere il Presidente in modo regolare e razionale?”.
Per il questore della Camera in quota FI, Gregorio Fontana, il problema non esiste: “Per due anni si è votato” con la pandemia in corso, “perchè dovremmo preoccuparci per l’elezione dle Presidente della Repubblica?”.
I numeri, in realtà, preoccupano eccome: c’è un ‘tesoretto’ di oltre 100 voti che centrodestra e centrosinistra ambiscono ad accaparrarsi per poter blindare il proprio nome da eleggere al Colle più alto. I grandi elettori dei partiti che fanno riferimento all’area di centro, sommati tra Camera e Senato, sono più di un’ottantina. E si candidano a diventare l’ago della bilancia della partita per il Quirinale, che entrerà nel vivo a gennaio. Ma non sono gli unici ‘attenzionati’ dai due schieramenti: preoccupano, infatti, i cosiddetti ‘cani sciolti’, ovvero i deputati e senatori del gruppo Misto e, in particolare, i parlamentari non iscritti ad alcuna componente.
Il loro ‘peso’ si aggira attorno a un’altra ottantina di voti. Voti definiti ‘ingovernabili’, in quanto si tratta di parlamentari, per la maggior parte fuoriusciti o espulsi dal Movimento 5 stelle nel corso della legislatura, che non rispondono a logiche partitiche o a linee dettate dai leader. Insomma, un pacchetto di voti di difficile gestione e dalle scelte imprevedibili. Nelle prime tre votazioni per eleggere il nuovo presidente della Repubblica occorre la maggioranza dei due terzi degli aventi diritto al voto, 1.008 grandi elettori, pari a 672 voti.
Numeri che nessuno schieramento – nè il centrodestra, nè tantomeno il centrosinistra compreso il Movimento 5 stelle – può garantire da solo. E allora, salvo sorprese (come ad esempio la convergenza della stragrande maggioranza degli eletti su un nome condiviso, come è avvenuto finora solo nei casi di Cossiga nel 1985 e nel 1999 con Ciampi, che furono eletti al primo scrutinio) i ‘giochi’ si decideranno dalla quarta votazione in poi, quando l’asticella scende e per eleggere il successore di Mattarella basterà la maggioranza assoluta, pari a 505 voti. Ma anche in questo caso determinante sarà ‘aggiudicarsi’ il pacchetto di voti in mano al centro o al ‘gruppone’ degli ‘ingovernabili. Esclusi i delegati regionali (che sono 58), il centrodestra (Forza Italia, FdI e Lega), sulla carta può contare su 400-450 voti.
Il centrosinistra (Pd, Leu, M5s) può invece contare su 410-420 voti. Ed ecco che entrano in gioco i voti dei centristi: Italia viva dispone di 16 senatori e 27 deputati; Coraggio Italia alla Camera conta 24 deputati; Azione-+Europa ha 2 senatori e 3 deputati: Idea-Cambiamo sono 7 senatori e, infine, Noi con l’Italia conta 5 deputati. Per un totale di 84 voti. Più ampio il bacino di voti del gruppone dei cosiddetti ‘cani sciolti’: al Senato il Misto conta 47 componenti, di cui 23 non iscritti ad alcuna componente (per lo più si tratta di ex M5s); poi ci sono i 2 senatori del Maie, i 3 di Italexit di Paragone, 1 di Italia dei valori e 1 di Potere al popolo.
Alla Camera il gruppo Misto è composto da 66 deputati, di cui 14 di Alternativa, componente che si colloca all’opposizione del governo Draghi e formata per la maggioranza da ex M5s; Maie-Facciamo Eco conta 8 deputati, 26 i non iscritti ad alcuna componente, per un totale di circa 80 voti.
E’ per questa ragione che va avanti, ormai da giorni, un tentativo di ‘federazione’ fra Italia Viva e Coraggio Italia con l’obiettivo mettere sul piatto una ‘dote’ di circa 80 grandi elettori. Un progetto che stenta però a decollare, anche per lo scetticismo di alcuni dei protagonisti, specie fra i parlamentari di Coraggio Italia.
AGI – Agenzia Italia
Redazione Corriere di Puglia e Lucania